Nella tarda serata del 21 settembre 2011 è morto Enzo Erra o meglio, come lui avrebbe preferito dire “E’ andato avanti”.
Nato a Napoli il 7 luglio del 1926 non era più un ragazzino, anche se fanciullo Enzo lo era rimasto nell’animo, non rinunciando mai a quegli ideali che lo avevano mosso da giovane e ne avevano indirizzata l’intera esistenza.
All’arrivo degli americani a Napoli, nel 1943, aveva appena 17 anni. Vide arrivare il nemico, il barbaro sbarcato dal mare, e non stette li a pensarci su due volte, abbandonò la sua città e si diresse alla volta di Roma. Una volta a “Nord” si sarebbe arruolato come allievo ufficiale della Guardia Nazionale repubblicana, la prima Arma dell’Esercito della Repubblica Sociale Italiana, una scelta a cui poi avrebbe mantenuto fede per l’intera vita.
Una decisione difficile, per la quale avrebbe rischiato, dopo il 25 aprile 1945, di essere fucilato. Invece, la sorte benigna gli fece scansare l’esecuzione, mettendolo in condizione di rientrare nella sua Napoli.
Bene ha detto Marcello Veneziani scrivendo di lui “Appartenne a quella generazione che per ragioni anagrafiche del fascismo non visse la storia ma solo il crollo, si arruolò pochi giorni prima della fine, non ebbe vantaggi né carriera ma solo danni, non si macchiò di colpe o delitti ma scontò con dignità il suo fascismo postumo per una vita.”
Nel 1947 si trasferì a Roma, iscrivendosi al Movimento Sociale Italiano e diventando una delle anime del partito.
Per tutta la sua vita sarà un’anima turbolenta che non ricerca poltrone e prebende ma che insegue quel sogno bello che lo mosse da giovane a vestire la divisa di quelli che la guerra non la volevano perdere. Per quanto riguarda l’M.S.I., invece, per l’intero corso della sua esistenza tenterà di realizzare un partito differente, un partito che, purtroppo, non riuscirà mai a vedere e che, come è noto, invece, finirà con l’abiura di Fiuggi, prima e con l’incorporamento nel Berlusconismo poi.
Sarà giornalista parlamentare e scrittore, lavorando per i quotidiani “Roma” di Napoli e “La Notte” di Milano per i quali si occuperà prevalentemente di politica. Negli ultimi anni della sua vita ci lascerà numerosi saggi di storia e politica.
A questo punto il cronista avrebbe detto tutto o, quanto meno, tutto quello che ci sarebbe da dire in un necrologio per un giornalista che non c’è più.
L’amico, invece, ha ancora qualcosa da ricordare. Conobbi Enzo a Napoli, tanti anni fa nel corso di un convegno di storia e capii subito con quale eccezionale tempra di uomo avessi a che fare. Gli chiesi della guerra mi rispose: “Daniele noi non volevamo perdere…credimi non volevamo perdere”.
In quella frase c’era tutta la vita di un uomo, che aveva creduto in una battaglia e non ci aveva mai più rinunciato. Era un galantuomo, una qualifica che oggi sembra non avere più senso.
Per me sarebbe stato, più che un amico, un maestro. Quando gli dissi della mia domanda per l’iscrizione all’albo dei giornalisti diventò una furia “Per te è una banale passione, per me l’iscrizione all’albo significò la dignità di una professione, la possibilità di tornare a lavorare”. La sua fu una grande lezione di vita, ma anche di giornalismo.
Un Grande giornalista, un eccezionale interprete del nostro tempo, purtroppo schierato dalla parte alla quale non era consentito pensare ed edificare nulla. Lo ha ben spiegato Veneziani che su “Il Giornale” ha scritto “Penso allo strano destino di quel piccolo mondo della destra giornalistica: penso al Pisanò che scriveva le cose che poi ha scritto con successo Pansa, penso a Gianna Preda che fu la Fallaci al tempo in cui l’Oriana era di sinistra, penso ad Angelo Manna che diceva le cose che poi ha scritto Pino Aprile sui terroni. E penso a Cattabiani, Marcolla e Quarantotto che scoprirono autori e filoni che poi ha scoperto Calasso con l’Adelphi. Ed Enzo Erra, che meriterebbe la fama di un Giorgio Bocca; ma lui era colto, spiritoso e dalla parte sbagliata…”
Un solo appunto alle parole di Veneziani: Enzo non era dalla “dalla parte sbagliata”, era solo “dalla parte perdente”, ma è stata una parte che si è dannata l’esistenza e l’anima pur di non perdere. La parte dell’orgoglio e dell’onore.
Quest’uomo che oggi ricordiamo è stato una colonna del tempio della coerenza, dell’onestà e dell’intransigenza ideale. Per me un grande maestro, un esempio da non dimenticare.
I LIBRI DI ERRA, LI SI INDICA PERCHE’ LEGGERLI E’ IL MODO MIGLIORE PER RICORDARLO :
Il cappotto di Napoleone (1988); Napoli 1943 – Le quattro giornate che non ci furono (1993); Le radici del fascismo (1995, 1998); La repubblica di via Rasella (1999, con Francesco Caroleo Grimaldi); La sindrome di Fiuggi (2003); La patria che visse due volte. Il fascismo e l’Italia dal 25 luglio al 25 aprile (2004); Dove vanno le ideologie? (2005) , L’Italia nella luce e nell’ombra (2007).