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L’uno difende gli italiani ma fa il secessionista, l’altro opera per Londra ma gioca al nazionalista


Divisi. Su terreni diametralmente opposti. Uno dice bianco e l’altro risponde nero. Uno legato al Tricolore, l’altro al Sole delle Alpi. Fini da una parte e Bossi dall’altra. Il presidente della Camera e il leader della Lega Nord nonché ministro delle Riforme sulla carta fanno parte della stessa alleanza politica ma a leggere i quotidiani di oggi sembrano uno l’opposizione dell’altro. Oggetto del contendere le celebrazioni i 150 anni dell’Unità d’Italia. BOSSI – “A naso mi sembrano le solite cose un po’ inutili e un po’ retoriche. Non so se ci andrò, devo ancora decidere. Ma se Napolitano mi chiama…”. Intervistato da La Repubblica, Umberto Bossi spera di arrivare ai festeggiamenti dell’Unità d’Italia “con il federalismo fatto, che sia legge e diventi finalmente realtà”, perché “questo è l’unico pezzo che manca al compimento della storia del nostro Paese”. E lascia aperto uno spiraglio alla sua presenza ai festeggiamenti: “Il presidente Napolitano mi è sempre stato simpatico”. FINI – La risposta di Fini? Della Lega ?”epreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell’unità nazionale”, dice l’ex leader di An a La Stampa: “però non mi sorprende affatto”. Poi aggiunge: “Considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l’Unità”. Poi cita il suo intervento alla Direzione del Pdl, “che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario? E non sarà perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?”.
LA STORIA – “Cavour era federalista, la promessa e l’impronta federalista sono state fondamentali nel percorso di unificazione del Paese – riflette il leader della Lega. – Poi il re in qualche modo ha tradito perché ha imposto il centralismo, ma oggi è arrivato il momento di riprendere quella promessa e mantenerla compiendo davvero la storia. Non perderemo questa occasione per raddrizzare il Paese”. Fini spiega invece che l’Italia è già unita. Sul federalismo fiscale “siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire che cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere”.
LA POLITICA – “Se andiamo avanti di questo passo avremo troppi sindaci e troppi presidenti di regione che buttano via i soldi –  avverte Bossi. – Non si può continuare così perché con questo andazzo rischiamo di finire male, come un’altra Grecia ma di grandi dimensioni e con esiti disastrosi per tutti”. Contro il rischio di tracollo la ricetta, sostiene, è il federalismo, “perché significa dare delle regole che faranno bene sia al Nord che al Sud: il Nord smetterebbe di pagare e il Sud di buttare via i soldi”.  “L’anniversario – sostiene Fini – può essere il perno di una riflessione condivisa, “perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all’indice ogni qualvolta la sollevo”.

Va bene che nella società dello spettacolo niente è come sembra, anzi spesso è il suo contrario, però… Da una parte Bossi che persegue una politica localistica ma anche nazionalistica, sia pur in salsa provinciale, gioca all’antiunitario. Dall’altra il commesso di Londra, l’uomo delle congreghe multinazionaliste, il paladino della multiculturalità e dello sradicamento nazionale, gioca al patriota e rivendica l’Unità d’Italia della quale non può sicuramente rimpiangere altro che qualche rituale di loggia, ma non certo tutto il resto.

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