Hanno fatto la fine dei topi, avvelenati sotto terra dal gas in uno dei “tunnel del contrabbando” che collegano la Striscia di Gaza con l’Egitto e permettono il passaggio di un po’ di tutto: dalle armi alle merci di prima necessità. Una morte orrenda per la quale Hamas, il movimento islamico radicale al potere nell’enclave palestinese, ha puntato l’indice contro le forze egiziane: colpevoli – tuonano i suoi megafoni, senza prestar fede alle smentite del Cairo – di eccidio a sangue freddo.
A lasciarci la pelle, in quella trappola, sono stati mercoledì sera quattro “spalloni”, mentre altri 10 si sono salvati, ma intossicati o feriti, come ha confermato Muawia Hassanein, capo dei servizi medici d’emergenza a Gaza.
La cosa sicura è che tutti hanno inalato gas nocivo. Per il resto, le versioni divergono. A Gaza si dà per certo che la tragedia sia l’effetto di una qualche sostanza venefica pompata alcuni giorni fa dalle guardie di frontiera egiziane per rendere impraticabili le gallerie: una sorta di misura deterrente a cui mercoledì si sarebbero aggiunti un bombardamento d’artiglieria e il conseguente crollo di una volta.
Al Cairo, viceversa, fonti ufficiali – pur confermando la distruzione di quattro tunnel illegali – negano qualsiasi uso di gas e attribuiscono semmai la morte dei quattro allo scoppio di bombole di butano trasportate dagli stessi palestinesi.
Sia come sia, l’ira degli abitanti di Gaza contro i grandi vicini egiziani ha raggiunto livelli di guardia. E continua a montare sull’onda delle dichiarazioni di fuoco dei rappresentanti di Hamas. Un portavoce, Fawzi Barhum, denuncia l’accaduto come un terribile crimine commesso dalla sicurezza egiziana contro semplici lavoratori palestinesi che cercavano di guadagnare il loro tozzo di pane quotidiano; un eccidio a sangue freddo. Un altro, Sami Abu Zuhri, addebita al Cairo la piena responsabilità del sangue di queste vittime, e avverte: “La soluzione (per far cessare il contrabbando) non è uccidere civili innocenti, ma aprire i passaggi di confine”.
Coloni scatenati, intanto, nell’insediamento ebraico di Yitzhar, in Cisgiordania, dove gruppi di facinorosi hanno dato vita dapprima a tafferugli con la polizia israeliana e poi a una raid contro un villaggio arabo, seguito da una dozzina di arresti.
Tutto è cominciato con il fermo temporaneo, avvenuto nella mattina, di sette coloni, incluse figure di spicco dell’insediamento, accusati d’aver compiuto negli ultimi mesi diversi atti di violenza contro palestinesi. Un episodio che ha dato luogo alle prime tensioni, malgrado il rapido rilascio dei sette. E che è sfociato in scontri aperti con gli agenti quando la polizia è tornata sul posto per il sequestro di una ruspa usata per attività edilizie condotte in violazione della moratoria di 10 mesi imposta dal governo.