Dilaga il preoccupante fenomeno della violenza giovanile. Ormai i ragazzi uccidono per un sorriso, per uno sguardo, per una parola di troppo. O semplicemente per noia.
ROMA – Uno l’ha fatto per uno sorriso, l’altro per uno sguardo e l’ultimo per una parola di troppo. Storie di giovani e di coltelli. Di ragazzi di appena 16 o 17 anni che pur di non sfigurare agli occhi della fidanzatina non hanno esitato a uccidere il presunto avversario. Tre casi in neppure cinque mesi: da febbraio a oggi. Dall’estremo Sud all’estremo Nord del Paese: da Agrigento a Como, passando per Napoli. Tre giovani vite spezzate da altrettanti minorenni. E solo per un sorriso, uno sguardo o una parola di troppo. Certo, casi limite. Anche se per Simonetta Matone, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Roma, quello della violenza tra i giovani è «un fenomeno che coinvolge tanto i ragazzi quanto le ragazze. E purtroppo, si tratta di un trend in continua crescita. Che affonda le sue radici tanto nelle situazioni di degrado ambientale o di arretratezza culturale quanto in quelle dove benessere e regole non mancano».
Aggiunge il magistrato: «Nel ’53, quando sono nata io il ricorso alla violenza rappresentava l’estrema ratio. Oggi è come se i ragazzi non ci trovassero niente di strano, come se girare con un coltello in tasca fosse una cosa assolutamente normale. Anche se, per fortuna, in Italia il numero di omicidi non è in aumento. Viceversa, crescono i casi di lesioni non gravi (nasi spaccati, per intenderci).
Poco più di 1.500 i ragazzi che nel corso del 2003 hanno fatto il loro ingresso negli Istituti penali per minorenni, di cui 1.325 maschi e 256 femmine. Più elevato il numero dei minori mandati nei Centri di prima accoglienza e cioè le strutture filtro che accolgono quelli appena arrestati prima che il Gip decida tra il carcere o la misura detentiva alternativa: 3.524 (2.806 uomini e 716 donne). Circa 1.000 i procedimenti che i sette magistratii della Procura presso il Tribunale dei minori di Roma esaminano ogni mese. Di questi due terzi riguardano reati penali e un terzo quelli civili.
Ma qual è il ruolo delle famiglie? Il criminologo Pino Centomani non ha dubbi: «Determinante. Ma in una realtà che diventa sempre più complessa padri e madri hanno, però, bisogno di aiuti significativi: è necessario che il contesto sociale investa in modo sistematico sulla promozione della qualità della vita. Coinvolgendo tutte quelle figure che hanno a che fare con i ragazzi: genitori, insegnanti, parrocchie, allenatori sportivi e soprattutto insegnanti». E’ il messaggio che arriva dalla società e il suo «imbarbarimento», secondo Centomani la principale causa della devianza giovanile. Sottolinea il criminologo: «Un modello dove tutto è imbarbarito, dove tutto sembra accettabile. Con fiction in cui pure il buono non esita a imbracciare il kalaschnicov e programmi spazzatura di pomeriggio in pomeriggio banalizzano le esperienze della relazione affettiva. In questo contesto non c’è da stupirsi se i nostri ragazzi, ricchi o poveri che siano, non hanno più la capacità di riconoscere il confine tra lecito e illecito. Anzi. Paragonati ai loro coetanei Usa che a scuola ci vanno addirittura con la pistola, tutto sommato, sono fin troppo tranquilli».
Intanto, da febbraio a maggio, tre di loro hanno ucciso. E solo per uno sguardo, un sorriso. O, com’è successo sul lungomare di Agrigento l’altro ieri, per una parola di troppo. Per una parola di troppo, un ragazzo di 17 anni ha spaccato il cuore di un ventenne. Con una coltellata.