Un momento di passaggio pregno di potenzialità
Finora è un fallimento.
I remake antiviril e cappuccino dei film storici e dei personaggi mitici non attraggono più di tanto. Le Zerozerosetta, i re africani in Scandinavia, l’equivoco gender, per ora sono imposti da minoranze organizzate (liberaltrozkiste, sia etero che lgbt) ma non fanno presa.
Non significa che alla lunga non ci possano riuscire.
Ricordo che c’è una serie di cancel culture della nostra storia e del nostro immaginario.
La cancel culture cristiana del mondo classico ci mise secoli per affermarsi, senza che però non si producessero reciproche contaminazioni e che non fossero gli stessi monasteri a rivelarsi custodi del pensiero pagano. Ci fu la cancel culture protestante. Poi quella della Rivoluzione francese. Quindi quella bolscevica, replicata in Cina, in Cambogia.
C’è sempre stata una cancel culture politica: contro Napoleone, contro Hitler, contro il Fascismo.
D’altronde c’era già stata una cancel culture contro Nerone.
Wonderful world
Cosa fa nascere la cancel culture? Una rabbia impotente, quella dell’Utopia di un mondo da cambiare che dovrebbe diventare perfetto tramite il nuovo verbo che però alla prova dei fatti si dimostra fallimentare. La reazione è sempre la stessa: si cerca l’elemento che fa attrito, quello che non si adatta alla nuova felicità e quindi, con la sua presenza e con il suo ragionare ed esprimersi, impedisce il Wonderful world. Esso va eliminato, cancellato, come faceva Stalin finanche nelle fotografie.
L’isteria del Woke oggi è determinata proprio da questo: dalla presa d’atto del fallimento di un’utopia progressista, corrosiva e nemica delle forme.
Non c’è, se non in pochi woke, la consapevolezza di essere delle larve psichiche, possedute dal Sacer non messo in forma nel Mundus, non filtrato dal Pontifex, non rettificato dal Rex.
Come in un ballo di vampiri, o meglio ancora di zombie, le larve wokiste si scagliano contro tutto quanto è assiale, virile, olimpico, retto, ordinato, felix.
Basta sfoghi impotenti!
Sono essi il Nemico? Non più di tanto, perché sono il riflesso di qualcosa che si dissolve da sé, utilizzando loro né più né meno di come le potenze metafisiche sovversive fecero con i Robespierre di tutte le epoche. Ma il dissolversi, come è funzionalmente necessario, annuncia nuove aggregazioni fisiche e psichiche che se li lascerà indietro, nell’indistinto e nell’oblio.
In questo momento di crisi (ovvero di passaggio) che si manifesta in tutti i campi, tecnologico, energetico, sociologico, demografico e geostrategico, mai come ora “il primo nemico sei tu”.
Non vi è soluzione nell’antagonismo e in nessuna forma di dualismo che non sono altro se non lo sfogo impotente delle proprie frustrazioni, il che porta a vere e proprie distorsioni mentali ed etiche, quali il recente delirio di inesistenti quanto inquietanti “fronti anti-occidentali”.
A combattere la corrosione è l’essenza, a combattere la deformazione è la forma.
La crisi è una tigre da cavalcare. Da uomini che siano rimasti in piedi tra le rovine e non da rovine di uomini che si aggrappano, rabbiosi, infelici, tristi, a immaginarie figure esotiche o a immaginari sussulti popolari che dovrebbero risolvere i disagi esistenziali di chi non è in grado di essere retto, libero e sereno. Qui la differenza tra quella che fu la destra radicale e l’attuale destra terminale.
Giovinezza
È chiaro che le larve, i commissari politici, i mestatori, vanno combattuti, ma senza considerarli eccessivamente: non si deve confondere la peste con gli untori. Si deve essre in grado di opporre una Rivoluzione Creativa, con la sacralizzazione degli spazi, dei gesti. Forse mai come in quest’epoca il conflitto è metafisico, esistenziale, culturale, gestuale, simbolico.
Mai negli ultimi ottant’anni ci siamo trovati di fronte a una situazione così mutevole in tutti i campi. Si tratta di esserne all’altezza. Coraggio! Ma si parte dall’accantonamento degli schemi di comodo, del dato per scontato (che da almeno quarant’anni in qua è perlopiù un castello di falsità e malintesi) e dalla riproposizione di quanto attiene alla sfera del Mito.
Non si deve avere un approccio platonico ad esso, perché servirebbe solo a consolarsi nell’inazione. Serve un approccio socratico, intransigente, a sé. Bisogna interrogarsi sul Mito e su quanto e come si è in relazione con esso. Dobbiamo rettificare noi stessi – il che si rilfette nella rettifica del mondo – appunto come indicava Socrate o, se preferite un esempio più vicino nel tempo, Friedrich Nietzsche.
Il tuo nemico è lo spirito di gravità. Non devi essere la scimmia di Zarathustra.
È adesso che si dev’essere all’altezza del grande meriggio. Un meriggio che è, anche, woke ma che preannuncia il ruggito del leone e il riso gioioso del fanciullo.