L’altra sera ho ricevuto una telefonata. “Signor Adinolfi, volevo informarla che mio marito è morto qualche giorno fa”. Perché? Perché questa gente non è immortale? Ma le rispondo soltanto “mi dica”. “Non ha sofferto, se n’è andato nel sonno, l’ho scoperto mentre gli portavo la colazione”.
Se n’è andato in punta di piedi, Luigi Emilio Longo, volontario della Rsi e poi ufficiale di tutti i corpi speciali: alpini, subacquei, paracadutisti, fino al grado di generale.
E storico. Quattro anni fa m’invitò alla presentazione del suo libro su Messe, organizzata dall’Esercito. Era attorniato da relatori più giovani eppur badogliani che reagivano con stizza alle sue affermazioni “Messe fu un grande guerriero ma ebbe il torto di passare al nemico l’8 settembre”. “Come al nemico? – Sbavavano i suoi interlocutori – Rimase col re”. “Che era passato al nemico. Ebbe torto Messe e lo sappiamo tutti”. Lo avrebbero volentieri strangolato ma un generale lì non si tocca e le loro gole ingorde dovettero assaporare il fiele e sorbirselo tutto.
Di libri il generale Longo ne ha scritti tanti e tutti molto belli. In particolare penso a “Vincitori della guerra perduta” per i tipi del Settimo Sigillo.
Ricordo una conferenza tra Reduci tenuta a Casa Pound cui fu dato per nome appunto il titolo di quel suo libro e rammento perfettamente la sua ostinazione nel sostenere, quando qualche altro suo camerata parlava di riconciliazione, che riconciliazione non solo non poteva ma non doveva esserci, che bisogna essere fieri e degni della radicale estraneità all’italietta dei partigiani e dei servi.
Chi creda che il generale Longo parlasse da esaltato sbaglia, parlava con serenità assoluta, con dolcezza, con un filo di voce. Con discrezione.
Aveva problemi di salute e di equilibrio sulle gambe ma volle sempre salire al sesto piano per le scale e senza che lo aiutasse mai nessuno. Uno sforzo dignitoso, nella più totale discrezione.
Con la mia famiglia avemmo occasione di conoscerlo un po’ più da vicino. Era un ascoltatore non un declamatore, non aveva “certezze” da infondere: aveva certezza e nobiltà d’animo, era squisito.
Non si ergeva a giudice ma non riusciva a capire; non riusciva a capire i fedifraghi, i voltagabbana, i meschini, i miseri. “Perché?”
Non si ergeva a giudice ma riusciva a capire: “ho molta più stima per i nemici che ci sparano addosso se poi sono disposti a pagare con dignità che non degli amici che fanno le cose a metà o cercano una via di fuga”.
Era sempre presente quando si parlava in qualunque modo dei Vincitori della guerra perduta, della sua guerra. Quando il tema era Mezzasoma o Pavolini lo trovavamo sempre lì, con i figli dei martiri fascisti, naturalmente con discrezione, in punta di piedi.
Ultimamente dovette declinare più volte gli inviti: le conferenze avevano luogo un po’ troppo tardi, sempre dopo cena e la sua fibra iniziava ad esser provata; ma non ce lo disse mai.
L’ultima volta che l’ho sentito è stato un mese fa: mi chiese di procurargli una copia del libro sulla scuola di mistica fascista “Gli eroi di Mussolini”. Ho tardato troppo a consegnarglielo.
“I funerali, signora, hanno già avuto luogo?” “Sì, in forma privata, con i familiari stretti, in modo frugale perché chi ci crede sa che è così che deve presentarsi nell’Al di là”.
Esattamente come il generale si è sempre presentato qui. In punta di piedi, con discrezione, attento a non mettere in imbarazzo gli altri per la sua grandezza d’animo, per la sua saggezza, per la sua cultura, per le sue esperienze, per le sue innumerevoli capacità.
“Non vogliamo fare pubblicità. L’ho voluta avvertire perché ricordo che avevate un bel legame”.
Noi sì gli volevamo bene, eccome! Ma come potesse volercene lui per me resta ancora un mistero.
Perché – e non è retorica né falsa modestia – noi non eravamo e non saremo mai alla sua altezza.
E siamo condannati a vivere in un mondo che da oggi è un po’ più vicino alla nostra taglia; fatto di gente che sbraita, che vuole imporsi, che fa la ruota del pavone e vive intorno al proprio ombelico. Gente volgare, arrampicatrice, ambiziosa, meschina.
Quando sarete andate via tutti voi, generale, che ne sarà di noi? Non è una grande soddisfazione ergersi sopra i porcili nani. La felicità ci è stata concessa dal Fato e dal Cielo quando abbiamo incontrato Voi, così grandi, così schivi, così ferventi, così discreti.
Generale, come faremo a vivere da soli in mezzo a tutti questi esseri chiassosi e inutili?
Proveremo a prendere esempio dal Suo ricordo, generale. Grazie di aver attraversato le nostre vite e di avervi lasciato il segno!
Buon 23 Marzo, generale, io so che anche di lassù le strapperà il suo dolce sorriso.