mercoledì 6 Dicembre 2023

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Taiwan: dove lo scontro prevale sulla complicità

Motivazioni economiche, commerciali, storiche e politiche. La conquista cinese di Taiwan, o meglio riannessione, se vogliamo usare un termine utilizzato nel discorso pubblico d’oltre Muraglia, è più di un semplice affare di Stato. Per capire l’importanza geopolitica e strategica della “provincia ribelle”, può essere utile decifrare le aspettative dei massimi funzionari del Partito Comunista cinese.
Il presidente Xi Jinping in persona ha fatto intendere di voler ricongiungere Taiwan alla Cina continentale entro il 2030, presumibilmente quando le forze armate della Repubblica Popolare avranno raggiunto un livello di militarizzazione tale da poter resistere ad eventuali intromissioni straniere in una vicenda delicatissima. Già, perché la riunificazione di Taiwan consentirebbe a Xi di diventare a tutti gli effetti il padre della Cina del XXI secolo, nonché l’unico leader politico cinese ad aver riportato la Cina al suo massimo livello di splendore (neppure Mao Zedong era riuscito in una simile impresa).
Dall’altra parte, le mani del Dragone su Taipei potrebbero scatenare la reazione degli Stati Uniti, i quali intrattengono con Taiwan un rapporto alquanto ambiguo. Washington ha aderito al principio di “una sola Cina”, riconoscendo la Repubblica Popolare come unica rappresentante della Cina. Eppure, per contenere Pechino, il governo americano ha sempre utilizzato la leva Taiwan, rifornendo quest’ultima di armi e di tutto il supporto tecnologico e militare per resistere a ogni possibile minaccia del Dragone. Taipei ha quindi sfruttato l’ombrello americano come garanzia di sopravvivenza e indipendenza. Ma la Cina non ha più intenzione di restare a guardare.

Un’annessione strategica
Ci sono almeno tre ragioni alla base della volontà cinese di mettere le mani su Taiwan. La prima è prettamente storica. Pechino considera Taipei una sua provincia perché – sostiene il Pcc – prima dell’invasione giapponese e della guerra civile che ha travolto la Cina, Taiwan è sempre stato territorio cinese. Se oggi sussiste una situazione del genere – sostiene sempre la narrazione del Pcc – è soltanto a causa di ingerenze esterne, le stesse che oggi impediscono la riunificazione del Paese.
Le altre due ragioni sono poco dibattute all’interno del discorso occidentale. La seconda motivazione che spinge la Cina a riconquistare Taiwan è di natura politica. Da quando, nel 2011, sotto la presidenza americana di Barack Obama, gli Stati Uniti hanno varato la strategia del Pivot to Asia – una strategia pensata per circondare la Cina a colpi di alleanze con tutto il vicinato del Dragone, così da mettere pressione al gigante asiatico – la Cina si è letteralmente trovata pressata da un reticolato Made in Usa.
Non che la pressione statunitense sia riuscita in qualche modo a limitare l’ascesa cinese. Però, in un simile contesto, Pechino si è sentita, e per certi versi si sente ancora oggi, chiusa in un angolo. Riprendere Taiwan implicherebbe sferrare un colpo al Pivot to Asia, ma anche avvicinarsi all’isola di Guam (storica base americana), alle Filippine e a Okinawa (anche queste, terre di basi americane).

L’importanza del commercio
Arriviamo poi alla terza ragione, ovvero quella economica e commerciale. Taiwan è posizionata in un’area sensibile, trovandosi a metà strada tra il Mar Cinese Meridionale e Orientale. Da qui passano le ricche vie marittime del commercio che si snodano attraverso lo Stretto di Malacca. Per la Cina c’è un piccolo, grande problema: l’influenza di Washington nella regione limita il totale controllo di Pechino in quest’area strategica.
C’è poi da considerare il peso dettato dallo stretto di Taiwan, dal quale transitano le esportazioni di Giappone e Corea del Sud, entrambi alleati americani. Se la Cina riuscisse a riannettere Taiwan, in un colpo solo danneggerebbe la politica americana in Asia, consentirebbe di creare nuovi e interessanti canali commerciali tra Pechino e partner di rilievo (i rapporti economici Cina-Giappone e Cina-Corea del Sud vanno già a gonfie vele) e, infine, offrirebbe al Dragone la possibilità di espandere a dismisura la propria influenza nel cortile di casa. Il 2030 si avvicina. Vedremo se Xi avrà intenzione di bruciare le tappe.

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