lunedì 11 Novembre 2024

Il sacrificio di Corradino

Un giovinetto pallido, e bello, con la chioma d'oro, con la pupilla del color del mare

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Il 29 ottobre 1268 viene decapitato a Napoli, dagli angioini, il giovanissimo Corradino di Svevia; si conclude definitivamente la vicenda degli Hohenstaufen nell’Italia meridionale chiudendosi così la grande Rigenerazione ghibellina che ci avrebbe visti al centro del mondo.

Ricordiamolo con la bellissima poesia di Aleardo Aleardi:

Un giovinetto
Pallido, e bello, con la chioma d’oro,
Con la pupilla del color del mare,
Con un viso gentil da sventurato,
Toccò la sponda dopo il lungo e mesto
Remigar de la fuga. Avea la Sveva
Stella d’argento sul cimiero azzurro,
Avea l’aquila Sveva in sul mantello;
E quantunque affidar non lo dovesse,
Corradino di Svevia era il suo nome.
Il nipote di superbi imperatori
Perseguito venia limosinando
Una sola di sonno ora quïeta.
E qui nel sonno ci fu tradito; e quivi
Per quanto affaticato occhio si posi,
Non trova mai da quella notte il sonno.
La più bella città de le marine
Vide fremendo fluttuar un velo
Funereo su la piazza: e una bipenne

Calar sul ceppo, ove posava un capo
Con la pupilla del color del mare,
Pallido, altero, e con la chioma d’oro.
E vide un guanto trasvolar dal palco
Sulla livida folla; e non fu scorto
Chi lo raccogliesse. Ma nel dì segnato
Che da le torri sicule tonâro
Come Arcangeli i Vespri; ei fu veduto
Allor quel guanto, quasi mano viva,
Ghermir la fune che sonò l’appello
Dei beffardi Angioíni innanzi a Dio.
Come dilegua una cadente stella,
Mutò zona lo Svevo astro e disparve.
E gemendo l’avita aquila volse
Per morire al natío Reno le piume;
Ma sul Reno natío era un castello,
E sul freddo verone era una madre,
Che lagrimava nell’attesa amara:
“Nobile augello che volando vai,
Se vieni da la dolce itala terra,
Dimmi, ài veduto il figlio mio?”
“Lo vidi;
Era biondo, era bianco, era bëato,
Sotto l’arco d’un tempio era sepolto.”

E tu, bella del carme ascoltatrice,
S’io ti contristo, a me perdona, eterno
Novellier di sventure. Apresi ad una
Lagrima di rugiada il vedovile
Fior del giacinto; e per sbocciar dal core,
Necessità di pianto à l’inno mio.
Ma di’: sull’ampia terra una conosci
Valle felice, ove giammai non sia
L’eco sonata d’un lamento umano?
Dimmi, conosci una beata aiuola,
Sovra cui non cadesse una dolente
Stilla di queste crëature stanche?
Pure ne’ tuoi fissando occhi sereni
Combatterò contro le innate e pronte
Malinconie, si che men lento voli
Per la mia terra, e meno afflitto, il carme

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