Il premier giapponese nella Corea comunista da Kim Jong Il.
In gioco, i desaparecidos giapponesi e la ripresa dei rapporti
Diffidenza Usa: Tokyo vuole più autonomia in politica estera, ma Washington
non vuole rompere l’isolamento della «canaglia» Pyong Yang
TOKYO
«Non avrei deciso di andare di nuovo a Pyong Yang – ha detto ieri il premier
giapponese prima di partire – se non fossi certo del successo di questa
visita». A poco meno di due anni dal primo, storico vertice con Kim Jong Il
(settembre 2002), Koizumi si gioca il suo futuro politico – appena sfiorato
dallo scandalo dei politici che per anni non hanno pagato i contributi per
la pensione – con questo nuovo blitz nordcoreano. Poche ore che passeranno
alla storia come un inutile azzardo, o un meritato trionfo. In gioco, oltre
alla vicenda dei desaparecidos (cittadini giapponesi sequestrati, negli anni
`70, da agenti nordcoreani, e costretti a insegnare lingua e cultura alle
spie di Pyong Yang, c’è l’oramai improcrastinabile ripresa dei rapporti
diplomatici con la Corea del Nord, che però non sembra essere gradita agli
Stati Uniti. Il Giappone, imbarazzato dal fatto che la maggior parte dei
Paesi europei ha stabilito relazioni diplomatiche, ha provato in tutti i
modi a convincere Washington di allungare un po’ il guinzaglio,
consentendogli un minimo di autonomia in politica estera. E sembrava esserci
riuscito l’anno scorso, quando in cambio dell’invio delle truppe in Iraq –
operazione costosissima in termini di popolarità interna – Tokyo si era
assicurato il pieno appoggio degli Usa nella tragica vicenda dei suoi
cittadini sequestrati e «restituiti» al Giappone costringendoli a lasciarsi
dietro le famiglie. Ma un conto è l’appoggio «politico», un conto è perdere
una pedina essenziale nella strategia di isolamento nei confronti della
«canaglia» nordcoreana. E così, a meno di non improbabili accordi
sottobanco, Washington ha ribadito ieri che nonostante vi sia «comprensione
e simpatia» per la vicenda di Charles Robert Jenkins, la legge è legge e
deve fare il suo corso. E la legge prevede che il cittadino americano
Charles Robert Jenkins, marito di una delle donne sequestrate e già
«restituita» al Giappone, la signora Hitomi Sonoda, deve essere arrestato e
consegnato alle autorità statunitensi, nel caso metta piede in Giappone.. Su
di lui pende infatti l’accusa di diserzione: durante la guerra di Corea si
rifugiò al nord.
Il caso Jenkins sembra essere l’unico intoppo rimasto, ed è verosimile
ritenere che siano in corso intense e segretissime trattative. «E’ legittimo
ritenere che Koizumi sia già sicuro di riportare in patria i cinque figli
delle altre coppie – ha scritto ieri l’Asahi – ma è anche molto probabile
che il signor Jenkins non abbia nessuna voglia di rischiare la corte
marziale». A questo punto si pone la questione dei diritti umani della
signora Soga, che a più riprese ha dichiarato di avere più a cuore il fatto
di riunire la sua famiglia (le sue due figlie sono rimaste a Pyong Yang, con
il marito disertore) piuttosto che dove vivere.
Resta poi l’incognita Kim Jong Il, che presumibilmente pretenderà qualcosa
in cambio di questo gesto umanitario. Nella sua valigia diplomatica Koizumi
porta anche l’impegno a sbloccare ben 250 mila tonnellate di riso. Un
baratto del quale tuttavia non si deve parlare: il quotidiano (conservatore)
Yomiuri, che aveva sparato la notizia nei giorni scorsi, ha rischiato di non
poter inviare i suoi giornalisti al seguito di Koizumi.