lunedì 4 Novembre 2024

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La dittatura culturale esercitata in Ungheria da György Lukács – alias Georg Löwinger.

György Lukács alias Georg Löwinger (1885-1971) ebbe responsabilità di governo in due brevi e distinti momenti della sua esistenza: nel 1919, all’epoca della cosiddetta “Repubblica dei Consigli” presieduta da Béla Kun, quando fu commissario del popolo per l’Istruzione, oltre che commissario politico della Quinta Divisione rossa; poi, nel 1956, quando, membro del Circolo Petöfi e del Comitato Centrale del Partito Comunista, fu ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Nagy.


Ma il suo intervento più incisivo, più violento e più devastante nella vita culturale ungherese ebbe luogo nel biennio democratico 1945-1946, allorché, ritornato in Ungheria, fu membro del Parlamento e della direzione dell’Accademia delle Scienze, nonché professore di estetica e di filosofia della cultura all’Università di Budapest. Il rampollo del banchiere József Löwinger diventò allora “un vero e proprio direttore di coscienze, un dittatore spirituale, un dittatore d’altronde relativamente liberale, ma di cui ogni parola era legge. (…) Egli era la prova vivente della tolleranza del regime verso le menti più sottili”1. In questi termini pressoché idilliaci lo dipinge un altro celebre “ebreo errante”2 nato in Ungheria (prima marxista, poi cattolico e infine, ovviamente, liberale): Ferenc Fischel alias François Fejtö, fondatore con Raymond Aron del Comitato degli intellettuali per l’Europa delle libertà. Quale sia il concetto di libertà di Fischel-Fejtö, lo si deduce da quanto egli scrive circa l’azione politico-culturale di György Löwinger-Lukács; questi, secondo lui, “voleva fare del Partito Comunista il mecenate e il protettore di tutte le attività culturali, un centro di raccolta per realizzare le grandi riforme: democratizzazione e modernizzazione dell’insegnamento, allargamento delle basi della cultura, emancipazione dello spirito. Era il momento del pluralismo e del ‘dialogo'”3.


Davanti a una così commossa apologia c’è semplicemente da rimanere allibiti, se solo si pensa che il “pluralista” Lukács fu il più autorevole consulente della commissione incaricata di compilare il Catalogo della stampa fascista e antidemocratica, un vero e proprio Index librorum prohibitorum che si articolò in tre fascicoli, pubblicati tra il 1945 e il 1946 in più edizioni dal Dipartimento stampa della Presidenza dei Ministri. Era allora al governo una coalizione a maggioranza centrista, presieduta da un uomo di chiesa aderente al Partito dei Piccoli Proprietari.


Il Catalogo nasceva dallo stesso spirito inquisitorio che qualche anno più tardi avrebbe prodotto il famigerato libro di Lukács Die Zerstörung der Vernunft, ma aveva una funzione eminentemente pratica: segnalava alle autorità di polizia i testi da requisire nelle librerie e nelle biblioteche private per mandarli al macero, e ciò in applicazione del decreto 530 emanato il 28 aprile 1945 da

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