Home Conflitti In guerra per l’identità

In guerra per l’identità

0


Sosteniamo i Karen offrendo i mezzi a Popoli e Sol.Id

“Popoli” e “Sol.Id” hanno appena concluso una missione nel Karen che ha visto coinvolto un gruppo di volontari di entrambe le organizzazioni di intervento solidale.
La missione aveva molteplici scopi: per “Popoli” si trattava di compiere un sopralluogo nell’area del “Progetto Dooplaya” per verificare la situazione dei profughi interni che si sono stabiliti nei villaggi ricostruiti dalla Comunità Solidarista dopo le offensive birmane degli scorsi anni. I volontari di “Sol.Id” hanno invece dato inizio al progetto di sostegno alla clinica “Nettunia” di Mu Aye Pu, ricostruita grazie ai fondi raccolti dall’Associazione “Sleipnir” di Anzio.
“Sol.Id” ha consegnato al dottor Ba Wha, responsabile medico delle cliniche gestite da “Popoli”, fondi destinati all’acquisto di farmaci per la struttura sanitaria, che fornirà assistenza gratuita alla popolazione Karen.
La missione ha permesso anche di raccogliere informazioni circa la reale situazione politica delle aree Karen. In sintesi, lo Stato Karen è diviso di fatto tra zone in cui le autorità locali hanno iniziato una collaborazione con il Governo Birmano e zone in cui la resistenza patriottica denuncia le manovre di Rangoon volte alla “birmanizzazione” dell’intera regione. In queste ultime aree i rappresentanti del K.N.L.A. (Karen National Liberation Army) e della K.N.D.O. (Karen National Defence Organization) rifiutano di seguire gli ordini della leadership, che sta invece accordando ampia libertà di movimento nelle zone Karen alle truppe birmane.
Così, mentre alcuni villaggi vengono invasi dai soldati, dagli insegnanti e dagli infermieri (con quattro aspirine) inviati da Rangoon nella prospettiva di una “riconciliazione” con il movimento autonomista, mentre alcuni leader Karen si fanno ritrarre dai fotografi del regime in compagnia di ministri e generali birmani impegnati in brindisi e scambi di convenevoli, mentre alcune foreste vengono già disboscate per far largo a dighe e miniere di compagnie multinazionali, nelle aree in cui governano figure carismatiche come il Generale Baw Kyaw e il Generale Nerdah Mya, i Birmani non si sognano nemmeno di mettere piede. I due ufficiali dispongono di truppe motivate e ben addestrate, e godono del sostegno dell’intera popolazione delle aree in cui esercitano il loro controllo. Hanno intimato ai comandi birmani di non far oltrepassare alle loro truppe le linee di “confine” indicate. Quando questo avviene (le provocazioni birmane sono all’ordine del giorno), i volontari Karen attaccano i soldati di Rangoon, ricacciandoli puntualmente oltre le demarcazioni. Nelle zone della resistenza, che coincidono con le aree interessate dall’attività umanitaria di “Popoli”, non c’è posto per insegnanti o infermieri birmani. La popolazione locale manda i propri bambini nelle scuole “libere”, sostenute dalla Comunità Solidarista o dalle altre, rare organizzazioni amiche che condividono la posizione di fermezza incarnata da Nerdah Mya e Baw Kyaw. Lo stesso vale per le cliniche, che fanno parte del progetto originario inaugurato da “Popoli” nel 2001. Quella che potrebbe sembrare una posizione “estremista” o di chiusura nei confronti dell’idilliaca immagine di pacificazione della Birmania proposta dal regime, dai leader deboli o corrotti del movimento autonomista, dalle solite ONG di stonati e dai media internazionali (non tutti per fortuna) è soltanto la sensata risposta ad una truffaldina manovra orchestrata per mettere nel sacco i Karen e gli altri Popoli non birmani.
Nessun cessate il fuoco è stato firmato. Mai. Eppure i negoziatori birmani conducono le trattative come se questo fosse già stato raggiunto. Sorvolando quindi sull’aspetto della sicurezza e dell’autonomia delle popolazioni e parlando esclusivamente di aperture economiche, di investimenti e di incorporazione dei guerriglieri nel Tatmadaw, l’esercito birmano, agli ordini di ufficiali di Rangoon. Così succede che soldati birmani entrino nei villaggi Karen, sequestrino dei contadini e chiedano riscatti per la loro liberazione. Oppure che soldati birmani rapiscano donne e ragazzine, addirittura bambine, per il diletto dei loro ufficiali all’interno delle basi militari. O che ufficiali birmani utilizzino uomini e donne Karen come schiavi nei lavori di costruzione di trincee e di palizzate per le postazioni. Si, perché sono ancora più di 300 le basi militari birmane all’interno dei territori Karen, alla faccia dello sbandierato cessate il fuoco. Sono postazioni che hanno continuato ad essere rinforzate dall’inizio delle trattative ad oggi. Alcune decine sono sorte completamente nuove, dal nulla, senza che i deboli leader Karen influenzati dagli slogan “love and peace” degli studentelli progressisti in cerca di esotismo delle organizzazioni dis-umanitarie, osassero alzare la voce.
Si capisce, quindi, quanto sia importante, ora più che mai, che venga sostenuta l’attività di “Popoli”, di “Sol.Id”, di “Sleipnir”, di “Sobieski” e di tutti i gruppi che si stanno dando da fare per raccogliere aiuti per la popolazione Karen che rifiuta la sottomissione agli interessi stranieri.
Invitiamo tutti i nostri amici a continuare ad assisterci affinché si possa contribuire alla vittoria di una visione di pace e di giustizia che risponda alle esigenze delle popolazioni locali e non a quelle delle elités mondialiste, già pronte con forchetta, coltello e tovagliolo a sedersi al banchetto.

Franco Nerozzi comunitaapopoli.org

 

Nessun commento

Exit mobile version