Dioniso e la volontà di potenza |
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Scritto da Giovanni Damiano
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Lunedì 11 Ottobre 2004 01:00 |
Riflessioni su Alfred Baeumler interprete di Nietzsche e sulla centralità e non-attualità della filosofia del solitario di Sils Maria. Ovvero, strumenti per affrontare il “cuore nero” della modernità: il Nichilismo  Da ORION 230, novembre 2003
Questo scritto verte su di una recente iniziativa delle Edizioni di Ar, riguardante la pubblicazione dei testi di Alfred Baeumler su Nietzsche. In occasione del quarantennale delle Ar (nate nell'autunno del 1963), i testi baeumleriani rappresentano, simbolicamente, una sorta di 'fermaglio'. Come il fermaglio ha un doppio movimento di apertura/chiusura, così le opere di Baeumler chiudono un ciclo e, al contempo, ne aprono un altro. Ma, per meglio chiarire il ricorso a tale 'simbolo', è bene suddividere, schematicamente, lo scritto in tre punti, distinti soltanto per ragioni analitiche, ma, in realtà, fra loro strettamente intrecciati.
Innanzitutto, va ribadita la persistente centralità dell'opera nietzscheana. Ovviamente, ciò comporta affrontare Nietzsche con serietà di studio e non limitarsi a inserirlo in quelle liste di "nomina/numina" da 'recitare', poi, come un mantra o a riportare qualche suo aforisma dove capita. Centralità e non attualità, però. Questo, lo snodo essenziale. Nel senso che centrale rimane il Nietzsche diagnosta (del nichilismo) e prognosta (della Umwertung assiologica). Ma tutto ciò permane, molto più di ieri, inattuale. Perché l'oggi è perfettamente refrattario alla grande lezione nietzscheana. Oggi, infatti, assistiamo alla più sfrenata riproposizione di quei 'valori' di cui già Nietzsche aveva intravisto, con sguardo 'meridiano', il tramonto. L'oggi è, insomma, sostanzialmente pre-nietzscheano. Certo, resta in piedi buona parte della retorica nietzscheana (dove bisogna leggere l'eco della 'rettorica' michelstaedteriana). Ossia, restano la finzione dell'accoglimento del messaggio di Nietzsche in vista, però, della sua neutralizzazione, la riduzione del pensiero nietzscheano a formule stereotipate (la "morte di Dio", ecc.), le vaghe professioni di 'disincanto', la derubricazione di Nietzsche ad araldo del 'pensiero debole' (in via di esaurimento, fra l'altro) e via discorrendo.
E all'interno della centralità dell'opera nietzscheana, un ruolo di rilievo è occupato da quel suo lato politico che, dopo decenni, è stato finalmente disseppellito dal volume di Domenico Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Torino, 2002. Si tratta del Nietzsche quasi anticipatore della Rivoluzione Conservatrice, cosa acutamente sottolineata anni addietro in Italia da Adriano Romualdi e da Giorgio Locchi, sulla scia del lavoro di Armin Mohler, La rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932. Una guida, Napoli-Firenze, 1990 (ed. orig. 1950), la cui intera terza parte, intitolata "Immagini-guida", è per l'appunto prevalentemente dedicata a Nietzsche. Anzi, il lato politico di Nietzsche finisce c |
Rivolta contro il mondo moderno. Settant'anni dopo. |
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Scritto da Libreria Ar
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Venerdì 08 Ottobre 2004 01:00 |
A settant'anni dalla sua prima pubblicazione, il testo più importante di Julius Evola conserva intatta la sua carica rivoluzionaria. "Chi lo legge si sente trasformato" disse Gotfried Benn. Ecco invece cosa ne pensava un acuto lettore italiano e fascista, in una recensione del 1935.  Recensione di Rivolta contro il mondo moderno apparsa, a firma di F. Burzio, sul Corriere Padano del 28 settembre 1935, riprodotta nel numero 47 (luglio 2004) di Margini. Letture e riletture, periodico della Libreria Ar
Quando uno scrittore pone, ad epigrafe del capitolo conclusivo del proprio libro fondamentale , le seguenti parole del De Maistre: «Bisogna tenersi pronti ad un avvenimento immenso nell’ordine divino, verso il quale marciamo con velocità accelerata» - e questo scrittore ha la serietà di Evola, ci si può attendere che il suo libro non dica cose banali. Evola sta svolgendo e popolarizzando ormai da anni, dalla pagina filosofica quindicinale di Regime fascista, intorno al quale si raccoglie tutto un gruppo di scrittori, un’attività, che si concretò dapprima in difficili libri e in riviste per ristretti cenacoli: e tale attività col pensiero che la informa, mi sembrano tra i più singolari e significativi dell’ora presente.
Dire ch’essa rappresenti un indirizzo affine, sotto qualche aspetto, al Nazismo (allo stesso modo che, al polo opposto, l’atteggiamento delle riviste giovanili romane: Saggiatore, Oggi, Cantiere può definirsi più o meno filo-bolscevico) non è che un semplice schematizzare.
Vediamo qualche spunto del pensiero di Evola. Sua tesi fondamentale è la negazione dell’idea di evoluzione e di progresso: è, anzi, il concetto opposto, cioè è la natura decadente del mondo moderno: «nulla ci appare assurdo come l’idea del progresso, col suo corollario, la preminenza delle civiltà moderna». Opposta ad essa, la civiltà «tradizionale»: «per comprendere, sia lo spirito tradizionale che il mondo moderno in quanto negazione di esse, bisogna partire dall’insegnamento circa le due nature. Vi è un ordine fisico e vi è un ordine metafisico. Vi è la natura mortale e vi è la natura degli immortali. Vi è la regione superiore dell’‘essere’ e vi è quella infera del ‘divenire’. Vi è un visibile e un tangibile e, prima e di là da esso, vi è un invisibile e un intangibile, quale sopramondo, principio e vita vera... Il mondo tradizionale conobbe questi due grandi poli dell’esistenza, e le vie che dall’uno conducono all’altro. Conobbe la spiritualità come ciò che sta di là sia da vita che da morte. Conobbe che l’esistenza esterna è nulla, se non è un’approssimazione verso il sopramondo... Un mondo tradizionale conobbe la Divinità Regale. Conobbe l’atto del transito: la Iniziazione – le due grandi vie dell’approssimazione: l’Azione eroica e la Contemplazione – la mediazione: il Rito – il grande sostegno: La Legge tradizionale , la Casta – il simbolo terreno: l’Impero».
Vi rendete ben conto di quel che significa tutto questo? Il fatto, cioè, che questo linguaggio inaudito (voglio propriamente dire: non più udito da secoli o da millenni) sia contemporaneo del bolscevismo? E fino a qual punto (appoggiato più o meno alla forza del Nazismo, e ad altre), esso illumini di cruda luce le antitesi e le profondità abissali del nostro tempo? Né crediate si tratti di mera «religiosità» o di flebile «legittimismo», ché vuol essere invece l’eco di cose immensamente più profonde ed antiche: «Imperialismo pagano» è infatti il nome che |
L’invenzione dell’Occidente |
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Scritto da Claudio Mutti
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Martedì 05 Ottobre 2004 01:00 |
Franco Cardini, ed. Il Cerchio, Rimini 2004,  Nel presente volume sono stati riuniti alcuni saggi aventi relazione col tema della genesi della nozione di “Occidente”, una nozione che, avverte l’Autore, è una delle “più infide e scivolose”, tanto più che essa tende a diventare assoluta e metastorica. L’abbondante documentazione raccolta dal noto medievista ci mostra come il concetto di Occidente sia relativamente nuovo, al punto da diventare inscindibile da quello di modernità. “È problematico – scrive Cardini – il sostenere l’esistenza effettiva di un’identità ‘occidentale’, il proporne l’alterità o magari la complementarità rispetto a una ‘orientale’ e magari l’identificare sia pur più o meno imperfettamente il concetto di Europa con quello di Occidente” (p. 8). Eppure, soprattutto nella cosiddetta Europa occidentale si è tentato di far coincidere i due termini, definendoli attraverso il confronto con l’Oriente (ieri comunista, oggi islamico, domani probabilmente cinese).
A questo Occidente, identificato in maniera abusiva e truffaldina con l’Europa, si sono volute attribuire antiche radici, che servissero a nobilitarlo: e sono state trovate nella Grecia antica e nella Cristianità medioevale e moderna. Naturalmente, questa operazione genealogica ha richiesto che venissero sottaciuti o minimizzati tutti quegli eventi storici che, nell’antichità e nel Medioevo e anche in seguito, hanno volta per volta rappresentato una sinergia greco-persiana, o un’alleanza germano-turanica, o un incontro fra Cristianesimo e Islam, o una assunzione del patrimonio imperiale bizantino da parte ottomana. Simultaneamente, il pregiudizio occidentalista ha cercato di oscurare lo scenario politico di tali eventi, che tendeva puntualmente ad assumere più o meno estese dimensioni eurasiatiche.
Per contro, l’”invenzione dell’Occidente” ha comportato che venisse esagerata l’importanza di tutto ciò che può esser presentato come un aspetto dello “scontro di civiltà” all’interno dell’Eurasia e che venissero trasformati in fatti epocali, forniti di significato “mitico” e fondante, episodi di scarso rilievo storico quali Poitiers o Lepanto.
L’”invenzione dell’Occidente”, secondo la diagnosi fatta da Cardini, ha forse il suo momento iniziale allorché papa Pio II elabora la tesi per cui “l’Europa era propriamente la sede – patria e domus – della Cristianità (…) e pertanto si poteva stimare cristiano chiunque fosse ritenuto europeo” (p. 12). E viceversa. Lo schema ideologico tracciato da Enea Silvio Piccolomini mirava in tal modo ad escludere dall’Europa ad usum Delphini quell’impero ottomano che, insediatosi a Costantinopoli, aveva raccolto l’eredità della Roma d’Oriente e costituiva il polo imperiale di un’Europa che il papato voleva invece soggetta a sé.
Scritto da www.adesonline.com
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Sabato 25 Settembre 2004 01:00 |
Istituito un premio storico sulle genti giuliano/dalmate per commemorare Norma Cossetto, martire istriana delle bande di Tito. Il 30 ottobre è anche prevista una manifestazione nazionale per il cinquantennale del ritorno di Trieste all’Italia.  Trieste, 25 settembre 2004
L'ADES (Associazione Amici e Discendenti degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati) intende ricordare ed onorare la memoria di Norma Cossetto, giovane studentessa istriana di ventitre anni, iscritta all’Università di Padova, seviziata ed uccisa nell’autunno 1943 da parte di elementi aderenti alle milizie armate del maresciallo Tito. Al Premio possono partecipare tutti i Laureati o Laureandi delle Facoltà italiane che avranno discusso la Tesi e conseguito la Laurea nel periodo dall’ 01.01.2002 al 31.10.2004 su un argomento storico inerente le terre e/o la gente giuliano-dalmata. Il Premio, organizzato con contributo della Legge 72/2001, vedrà l’assegnazione di un contributo ai tre migliori lavori nella seguente misura: a) ammontare del primo premio € 1.500,00 (Millecinquecento) b) ammontare del secondo premio € 1.000,00 (Mille) c) ammontare del terzo premio € 500,00 (Cinquecento) Copia della Tesi dovrà pervenire tramite raccomandata entro e non oltre il 31 ottobre 2004 a: A.D.ES. c/o Lega Nazionale Via Di Donota, 2 34121 Trieste (TS) alla attenzione della signora Livia Pisetta, inviando contestualmente per iscritto comunicazione per conoscenza a: ADES Telefax 06.233230159. Il bando integrale la normativa completa del concorso si trovano all'indirizzo internet
http://www.adesonline.com/eventi_pub/mostra_evento_go.php?id=25
Lorenzo Salimbeni Delegato ADES per Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia |
Quel "terzo regno" del socialismo nazionale europeo |
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Scritto da Luca Leonello Rimbotti
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Martedì 14 Settembre 2004 01:00 |
Moeller Van Den Bruck è stato una delle menti più geniali del movimento della Konservative Revolution. Il suo messaggio proponeva una volontà di rigenerazione morale e di rivincita sul materialismo che incarnava l'antico sogno del millenarismo, nonché una riscossa dei “popoli giovani” contro le plutocrazie decadenti. Un programma di scottante attualità  Arthur Moeller van den Bruck fu uno dei più alti risultati ideologici conseguiti dallo sforzo europeo di uscire dalle contraddizioni e dai disastri della modernità: fu uno dei primi a politicizzare il disagio della nostra civiltà di fronte all'affermazione mondiale del liberalismo e all'ascesa della nuova anti-Europa, come fin da subito fu giudicata l'America dai nostri migliori osservatori. Di qui una netta separazione del concetto di Occidente da quello di Europa. Il rifiuto dell'Occidente capitalista e della sua violenta deriva anti-popolare doveva condurre in linea retta ad una rivoluzione dei popoli europei, ad un loro ringiovanimento, al loro rilancio come vere democrazie organiche di popolo. Come tanti altri ingegni dei primi decenni del Novecento, anche Moeller vide subito chiaro ciò che ancora oggi molti nostri contemporanei non riescono a distinguere: la perniciosità del liberalismo, la mortifera distruttività delle tecnocrazie capitaliste, l'inganno di fondo che dava e dà sostanza a quel centro di decomposizione mondiale, che già allora erano gli USA: falsa democrazia, impero della Borsa, libertà sì, ma unicamente per il dominio delle sette affaristiche. In una parola, per chiunque avesse occhi per vedere, era evidente che un trucco liberale stava per gettare sui popoli del mondo la sua rete di potere, gestita da minoranze snazionalizzate e apolidi: "L'appello al popolo scrisse Moeller ne Il terzo Reich, il suo libro più famoso, pubblicato nel 1923 serve alla società liberale soltanto per sentirsi autorizzata ad esercitare il proprio arbitrio. Il liberale ha utilizzato e diffuso lo slogan della democrazia per difendere i suoi privilegi servendosi delle masse". Chiaro come il sole! Ottant'anni fa, e con tanta maggiore profondità di analisi politica degli odierni cosiddetti no-global, ci fu qualcuno che centrò in pieno l'obiettivo politico, segnalando con forza quale razza di tarlo stesse corrodendo dall'interno la nostra civiltà ben più lucidamente di tante "sinistre" ma anche di tante "destre" di allora come di oggi, antagoniste di nome, ma complici di fatto. Il disegno politico di Moeller era preciso: instaurazione di un socialismo conservatore; edificazione di una comunità solidale fortemente connotata dai valori nazionali; avvento di una "democrazia elitaria e organicista": il tutto, inserito in un quadro di ripresa del ruolo mondiale dell'Europa, gettando uno sguardo di simpatia verso la Russia, il cui bolscevismo Moeller che fin da giovane fu ammiratore della cultura russa e di Dostoewskij in particolare giudicava passibile di volgersi prima o poi in un sano socialismo nazionale. Era, questa, l'impostazione generale di quel movimento degli Jungkonservativen che faceva parte della più vasta galassia della Rivoluzione Conservatrice, la dinamica risposta tedesca alla sconfitta del 1918 e alle insidie della moderna tecnocrazia cosmopolita, da cui prese corpo infine il rovesciamento nazionalsocialista. Il senso ultimo del messaggio ideologico di Moeller è dunque duplice: da un lato, denuncia del dominio dell'economia sulla politica, per cui in Occidente, come egli scrisse, "il rivolgere l'attenzione alla fluttuazione del denaro ha sostituito la preghiera quotidiana"; dall'altro lato, fortissimo impulso alla ripresa della nazione, da incardinarsi su quel moderno corporativismo antiparlamentare in cui lo scrittore tedesco vedeva la vera rappresentanza del popolo, la vera partecipazione alla "comunità di lavoro". L'occasione di una rinnovata riflessione sul pensiero antagonista di Moeller viene adesso offerta dal libro di A.Giuseppe Balistreri, Filosofia della konservative Revolution: Arthur Moeller v |
Emergenza: antifascismo in crisi! |
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Scritto da www.einaudi.it
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Martedì 14 Settembre 2004 01:00 |
Einaudi pubblica un libello di Sergio Luzzato che lancia l’allarme: l’antifascismo è in crisi! Ed allora giù con le solite banalità: “i valori della Resistenza… i crimini del nazifascismo… il dovere della memoria… e bla bla bla…”. La verità è che ancora gli brucia perché Pansa ha smascherato al grande pubblico il vero volto della cosiddetta resistenza.  Sergio Luzzato, La crisi dell’antifascismo, Einaudi
L'antifascismo sembra corrispondere a un orizzonte di valori che appartiene ormai al passato. Anche perché il Ventennio è finito da sessant'anni: chi può ancora vantare (o rimpiangere) di avere visto coi propri occhi Mussolini al balcone, un brigatista di Salò, o una staffetta partigiana? I protagonisti della lotta fascista e di quella resistenziale stanno scomparendo. È come se fascismo e antifascismo non dovessero piú riguardare le nuove generazioni. Come se (cosí si affannano oggi a ripetere molti opinion-makers) l'antifascismo non fosse piú che un abito vecchio, fuori moda, da riporre in soffitta per sempre. E dopo la svolta del 1989, la fine del comunismo ha contribuito ad accelerarne l'usura. Ma davvero l'antifascismo è inutile? Non serve forse, ancora, per garantire alla democrazia italiana una fedeltà profonda alle idee della Resistenza e una indiscussa adesione ai valori della Repubblica? Secondo Sergio Luzzatto, la cosiddetta crisi delle ideologie non deve significare la rinuncia a distinguere precisamente fatti e misfatti, usi e abusi dell'antifascismo e del comunismo. È responsabilità delle nuove generazioni non permettere che la storia del Novecento anneghi nel mare dell'indistinzione. |
Jean Thiriart: l’Europa come rivoluzione |
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Scritto da Francesco Boco
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Martedì 14 Settembre 2004 01:00 |
Il profeta dell’Europa unita da Dublino a Vladivostok: autocratica, armata, anti-imperialista, comunitaria.
Il destino rivoluzionario di una Grande Nazione: Eurasia.  Le tesi di Jean Thiriart vengono oggi riscoperte, il concetto di Eurasia, che può apparire ai più come una novità assoluta, in realtà era già presente negli scritti di Jean Thiriart posteriori al crollo del Muro di Berlino, o ad esso appena precedenti, ma noi osiamo credere che fosse già una possibilità tenuta in considerazione anche negli anni della militanza politica di Jeune Europe 1. Unici ostacoli al tempo erano l’imperialismo sovietico ed il dogmatismo leninista-marxista, superati trent’anni dopo. Il concetto di Europa in Thiriart assume sin dall’inizio un’accezione rivoluzionaria. Era una presa di coscienza a cui tutti i veri rivoluzionari europei venivano chiamati: unico nemico oggettivo e globale venivano considerati gli Stati Uniti d’America.
Eurasia vs U$A
Nell’articolo L’Europa come Stato e l’Europa come Nazione si faranno contro gli USA viene affrontato il tema per niente secondario, e pertinente con quanto si dirà in seguito, dell’indipendenza dell’Europa -e quindi dell’Eurasia di cui oggi dibattiamo- dal controllo statunitense sul suolo continentale. Leggiamo dal testo: “L'Europa ufficiale non perviene a costituirsi poiché essa è impastoiata nella contraddizione esplicita di fare una nazione che già in partenza si riconosce essere alla dipendenza di un'altra.” Tema quanto mai attuale, così come attuale risulta la configurazione politica dell’Impero europeo. Chi oggi dubita dell’asservimento delle cricche di Bruxelles agli interessi d’Oltreoceano e a quelli del portafoglio? Siamo nel 2004 e le cose non sono certo migliorate, pure con la formazione, a parole, della Comunità Europea. Oggi più che mai è necessario riscoprire, rivedere ed attualizzare l’opera di Jean Thiriart. Da quanto detto sopra la conclusione che sia un dovere dell’Europa farsi contro gli USA. Poiché chi ritiene che il modello americano debba essere importato sul nostro continente agisce contro i nostri interessi e a favore di chi dal ’45 non si trova sul nostro suolo per il nostro bene, ma per conseguire i propri scopi politici, economici e soprattutto geopolitici a lungo termine. E da qui la sentenza lapidaria: “Chi collabora con gli Americani è un traditore dell'Europa.” Eppure Thiriart aveva ben presenti i pericoli insiti in una opposizione radicale nei confronti degli USA, ebbe a dire:”una nazione si forgia nella lotta e si tempra col sangue. I rischi sono grossi ma bisogna correrli.”2 Prendendo ispirazione dal Risorgimento italiano, ed in particolare dalle cosiddette “Soluzioni garibaldine”, Thiriart propone quindi un’azione di liberazione armata dall’occupante statunitense. “Un rivoluzionario europeo deve quindi fin d'ora contemplare come un'ipotesi di lavoro un'eventuale lotta armata insurrezionale contro l'occupante americano.”3 D’altra parte non rappresenta una novità, per chi abbia una qualche conoscenza della vicenda thiriartiana, il progetto di formare delle Brigate Europee, che per svariate contingenze non videro mai la luce. Già nel 1967 scrisse: “Nel quadro di un’azione planetaria contro le usurpazioni dell’imperialismo degli Stati Uniti, cioè nel quadro di un |
Nasce EURASIA, Rivista di Studi Geopolitici |
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Scritto da Edizioni All’Insegna Del Veltro
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Giovedì 05 Agosto 2004 01:00 |
Riscoprire l’unità spirituale dei popoli d’Eurasia per contrastare le nefaste teorie americanomorfe dello “scontro di civiltà” e del “melting-pot”; analizzare la geo-economia per capire le strategie di potere mondialiste; studiare la geostrategia per impostare una vera difesa continentale. Questi e molti altri gli obbiettivi dell’ambiziosa rivista che sta per vedere la luce. Un progetto decisamente da seguire.
Carta da visita
Lo scopo di questa nuova rivista di studi geopolitici è quello di promuovere, stimolare e diffondere la ricerca e la scienza geopolitica nell’ambito della comunità scientifica nazionale ed internazionale, nonché di sensibilizzare sulle tematiche eurasiatiche il mondo politico, intellettuale, militare, economico e dell’informazione. La prospettiva di EURASIA non corrisponde solo a quella delle relazioni internazionali in senso stretto, ma è anche quella, più fondamentale, che concerne l’influenza esercitata sulle “rappresentazioni” geopolitiche passate e attuali, nonché sugli scenari futuri, dai rapporti culturali e spirituali tra i popoli che abitano la massa continentale eurasiatica.
Infatti, pur non rappresentando nessun particolare indirizzo accademico, né adottando alcuno specifico e preferenziale approccio metodologico per l’indagine e l’interpretazione degli avvenimenti geopolitici, la rivista EURASIA ha l’ambizione di porre all’attenzione degli addetti ai lavori l’importanza della riscoperta dell’unità spirituale dell’Eurasia, così come essa da sempre si esprime nelle molteplici e variegate forme culturali. Il riconoscimento di tale realtà costituisce infatti un fattore innovativo e decisivo per l’avanzamento della scienza geopolitica del XXI secolo, in alternativa alle pilotate, restrittive, “ideologiche”, e dunque a-scientifiche, teorie dello “scontro di civiltà” o del “melting-pot”, che tanta confusione e danno hanno ingenerato sia nell’ambito della indagine scientifica che in quello delle applicazioni pratiche.
È per tali motivi che nella rivista saranno presenti, o |
Patetika intervista Patetika |
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Scritto da Corriere della sera
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Giovedì 05 Agosto 2004 01:00 |
Oriana Fallaci, la nuova musa dell’odio e dell’arroganza si è intervistata da sola. Megalomania senile ? L’ex staffetta partigiana, la matura pasionaria sessantottina innalza un peana alla sua perfetta patria d’adozione Oriana Fallaci torna in edicola, con il Corriere della Sera, a partire dal 6 agosto. Si tratta di un volume, in vendita a quattro euro oltre al prezzo del giornale, che contiene l’autointervista di una donna che scrive la verità su se stessa e sugli altri. I TEMI - Nel libro si affronta il cancro morale che divora l’Occidente e quello fisico con cui lei sta lottando. L’antioccidentalismo, il filoislamismo, il parallelo tra l’Europa del 1938 e l’Eurabia d’oggi, il nuovo nazifascismo che avanza, sono solo alcune delle altre questioni toccate in questo libro. Inoltre le atrocità di Abu Graib, i tagliatori di teste e le loro vittime, i no-global, gli «incappucciati», i «pacifisti guerraioli», i collaborazionisti in buona e cattiva fede. Nonché il muro antikamikaze d’Israele e l’antisemitismo nell’Unione Europea. Il punto di partenza di questo nuovo dialogo con sé stessa e i propri lettori trae origine proprio dall'impatto e dal successo de La Forza della Ragione che, in meno di quattro mesi, ha venduto più di ottocentomila copie e si avvia quindi a raggiungere il milione di copie toccato da La Rabbia e l’Orgoglio. |
Il volto ambiguo della Rivoluzione Conservatrice tedesca |
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Scritto da Luca Leonello Rimbotti
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Martedì 03 Agosto 2004 01:00 |
La Konservative Revolution tedesca ha rappresentato l’emergere di una visione del mondo nuova e moderna, che ha osato sfidare l’Occidente liberale attingendo alle sorgenti della più autentica cultura europea. Al di là della produzione filosofica di eccellente valore, però, essa ha spesso manifestato nei suoi esponenti maggiori un rifiuto snob ed intellettualistico di fronte all’attuazione concreta delle sue stesse idee.
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