I primi mandati di cattura in margine alle strage di Bologna
Il 28 agosto 1980 vennero firmati ventotto mandati di cattura per banda armata legata alla strage di Bologna.
L’intera manovra fu targata P2. Pidduista era il quotidiano che lanciò per primo la caccia alle streghe, pidduista era la gestione dei servizi segreti italiani.
In quota Sisde (servizi del ministero dell’interno) era il giornalista con un passato di estrema destra che, per soffocare le prime indagini intorno al cadavere di un militante di estrema sinistra accanto all’esplosione, sostenne in un quotidiano pugliese la matrice fascista, anzi tercerista, del massacro. In quota Sismi (servizi militari) era invece un altro impistatore della Nato, Amos Spiazzi, a cui la magistratura bolognese è propensa ad attribuire anche un messaggio in codice che sarebbe stato trasmesso fino a produrre l’uccisione di Francesco Mangiameli e che fu, comunque, il primo a indirizzare le indagini contro Terza Posizione.
L’intero minestrone del 28 agosto, una vera e propria bolla di sapone che scoppiò nel nulla nel giro di un anno, venne cucinato dal carcere di Rebibbia dal vicedirettore del Sisde, Silvano Russomano, che vi si trovava recluso per favoreggiamento delle Brigate Rosse.
Tutti i depistaggi successivi andarono nelle medesime direzioni, per condannare innocenti fascisti e per allontanare le indagini dalle formazioni dell’ultrasinistra e, soprattutto, da coloro che le giocarono e le sacrificarono per i propri fini.
Ventidue degli imputati di quella montatura finirono in manette, gli altri sei, trovandosi fuori casa per la data estiva, sfuggimmo alla retata.