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Killing Machine

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Gli americani esportano il terrore e poi ci guadagnano con le pubblicazioni che lo raccontano

“Killing machine” è un resoconto dettagliato scritto da Mark Mazzetti, un giornalista del The New York Times esperto di sicurezza nazionale e di politica internazionale e pubblicato di recente da Feltrinelli, basato su fonti pubbliche e, in parte, su conversazioni con fonti riservate e su materiale segreto diffuso sul Web da WikiLeaks.
Il sottotitolo riportato in copertina illustra bene il tema cardine dell’inchiesta: come gli Stati Uniti d’America combattono le loro guerre segrete. Mazzetti conduce infatti un’analisi ad ampio spettro, estremamente approfondita, sull’attività di intelligence della CIA (ma non solo) operata in quei Paesi geograficamente lontani che sono considerati nemici degli Stati Uniti. Tali attività non si concretizzano unicamente in interrogatori, extraordinary renditions, waterboarding, torture e rapimenti, nota Mazzetti, ma anche in vere e proprie esecuzioni mirate (basate su liste di obiettivi: kill lists) e in processi di alterazione, più o meno riuscita, di equilibri politici sino a scatenare guerre civili.
Sono essenzialmente due i grandi argomenti del libro, gli aspetti che il giornalista sviscera con una precisione a dir poco certosina: 1) le guerre silenziose portate ai quattro angoli del mondo, e 2) la guerra interna agli USA, in corso, che coinvolge i rapporti tra il Pentagono e la CIA e l’elaborazione delle strategie migliori per garantire la sicurezza nazionale e combattere il terrorismo in un’era connessa e sempre più dipendente dall’informazione e dalla sua gestione.
Con riferimento al primo punto, le vicende storiche narrate spaziano dal Pakistan alla Somalia, dallo Yemen all’Iran, sino a sfiorare ogni terreno di conflitto degli ultimi vent’anni. A Mazzetti è interessato recuperare più informazioni possibili su azioni clandestine, su uccisioni al di sopra della legge, su episodi che non sono finiti, se non per qualche fuga di notizie, sui quotidiani. Una buona parte di queste pagine è dedicata alla cosiddetta “licenza di uccidere” attribuita dai vertici del Governo USA a Pentagono e CIA, in piena guerra anti-terrorismo, unita alla possibilità di utilizzare in tale guerra le tecnologie più avanzate e soprattutto, vedremo a breve, l’uso di droni-killer.
Lo studio del reporter indaga, poi, sul fenomeno tanto discusso dei cosiddetti contractor e sulla prassi dell’outsourcing delle azioni più violente (spesso da portare in loco) a società che sono sorte, e hanno proliferato, nei periodi di tensione. Queste società private, spesso con finalità anche para-militari, sono diventate, secondo l’autore, il vero e proprio “braccio armato” della CIA in ogni caso in cui la stessa non fosse attrezzata per organizzare operazioni violente o non si volesse esporre.
Sullo sfondo si nota una preoccupazione, da parte dell’autore, per il cambiamento radicale che ha attraversato la natura stessa della CIA, e il suo mutamento da servizio di intelligence pura, e lo si nota ripercorrendo la storia dell’agenzia, a mandante di omicidi. Una spia che oggi è entrata in guerra, insomma.
In un simile quadro mutato così radicalmente non possono che dipanarsi giochi di potere e scossoni negli equilibri interni, incarichi politici che si muovono da un ufficio all’altro, delicati rapporti da tessere con l’intelligence di altri Paesi, sino ad addestramenti specifici per aumentare la conoscenza e per correlare i dati ma anche per avviare guerre psicologiche legate a doppio filo a quelle reali.
Una nota finale: ritorna spesso, nel libro, il tema interessantissimo dei droni. E di una sorta di istituzionalizzazione di una guerra condotta con simili dispositivi invisibili che possono portare una enorme potenza di fuoco dal cielo, oltre alla possibilità di spingere la guerra e le azioni di attacco anche in luoghi dove le truppe non vogliono, o non possono, andare. Ma, soprattutto, di rendere questo tipo di guerra invisibile e silenziosa ma altrettanto letale.

L’idea che questi strumenti in grado di lanciare missili con una precisione notevole sfuggano a un controllo, e a una regolamentazione nei loro usi, sta circolando da tempo. E nonostante spesso le specifiche siano mantenute segrete, e il loro utilizzo sia poco conosciuto, stanno destando preoccupazione in tutto il mondo per la loro incredibile potenza nociva. La riflessione che non solo lo spionaggio, ma anche le vere e proprie attività di guerra, stiano diventando più agili, silenziose e invisibili in un mondo profondamente mutato, prospetta un quadro sempre più pericoloso e misterioso. 

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