Roma fa acqua da tutte le parti. Ma proprio tutte
I protagonisti di questa storia di potere – che nasce dietro le quinte della più importante azienda della capitale e che mette in imbarazzo il maggior partito dell’opposizione – si chiamano Gianni Alemanno, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Geronzi e Massimo D’Alema. Il primo è il sindaco di Roma, il secondo è l’imprenditore più importante della Capitale, il terzo è il numero uno di Mediobanca, il quarto è il presidente di ItalianiEuropei.
Tutto inizia la scorsa settimana e tutto gira attorno a quelle quattro lettere che a Roma significano potere economico, finanziario e soprattutto politico: Acea. Controllare l’Acea (una società che ogni anno riesce a muovere qualcosa come un miliardo e mezzo di euro per la costruzione di acquedotti, reti elettriche e depuratori) vuol dire avere il controllo della più ambita e importante centrale di potere della Capitale, e la fotografia dell’organigramma dell’Acea è da sempre uno degli strumenti più immediati per capire chi a Roma comanda e chi invece non lo fa.
E’ successo così che venerdì scorso il cda di Acea doveva nominare uno dei nuovi consiglieri di amministrazione della municipalizzata romana. Il sindaco Gianni Alemanno – che è socio forte dell’Acea grazie al 51 per cento di azioni della società presenti nella pancia finanziaria del comune – aveva deciso che uno dei consiglieri doveva essere un nome scelto dal Pd e il nome su cui la maggioranza del Pd romano aveva puntato era quello del segretario generale dell’Anci, Angelo Rughetti.
Tutti erano d’accordo: era d’accordo il Pd, era d’accordo Franco Marini, era d’accordo anche il numero uno del Pd romano (Riccardo Milana). L’unico che non era d’accordo era Massimo D’Alema. Chi ha vinto? Naturalmente ha vinto il candidato di D’Alema: quell’Andrea Peruzy che, oltre a essere nuovo consigliere di Acea e oltre a essere membro del cda di Crédit Agricole, è direttore esecutivo e tesoriere di ItalianiEuropei – ovvero la fondazione di Max.
Se il primo effetto politico della nomina di Peruzy è che il Partito democratico romano (su richiesta diretta di Franco Marini) presenterà in questi giorni in Consiglio comunale la sfiducia al capogruppo dalemiano del Pd (Umberto Marroni), le conseguenze del caso Acea sono anche di altro tipo e riguardano i rapporti tra politica e poteri finanziari.
In questa storia c’entra la famiglia Caltagirone e c’entra anche la Mediobanca di Cesare Geronzi. Caltagirone è l’uomo che esercita più potere all’interno dell’Acea. Il suo potere va ben al di là del 7 per cento di azioni che l’imprenditore romano controlla nella municipalizzata, dato che uomini considerati vicini a Caltagirone sono sia il presidente di Acea Giancarlo Cremonesi (già numero uno dei costruttori romani) sia l’amministratore delegato Marco Staderini (uomo di fiducia del genero di Caltagirone, Pier Ferdinando Casini).
C’è chi dice che lo strapotere di Caltagirone aveva fatto innervosire a fine marzo i soci di Gaz de France (che in Acea hanno il 10 per cento) e così – anche per addolcire i rapporti con i francesi – Caltagirone e Alemanno avevano deciso di appoggiare la scelta fatta dalla municipalizzata di affidare a Mediobanca il ruolo di advisor per governare i prossimi accordi azionari con la stessa Gaz de France.
Il nome del nuovo consigliere di amministrazione di Acea, dunque, rientra proprio nell’ambito di quelle garanzie che i francesi avevano chiesto sia a Caltagirone sia a Mediobanca. Ma c’è qualcosa di più ed è qualcosa che spiega come D’Alema stia provando a poco a poco ad affondare le radici anche in quello che fino a pochi mesi fa era il regno del veltronismo.
Dice al Foglio il consigliere provinciale e tesoriere del Pd, Marco Palombo. “Il caso Acea dimostra che obiettivamente tra D’Alema e Caltagirone c’è un ottimo feeling. Un feeling che parte qui da Roma e che arriva fino alla Monte Paschi di Siena di cui Caltagirone è vicepresidente. E’ chiaro che dovendo scegliere un uomo di cui fidarsi nell’opposizione, e per dare l’idea ai francesi di Gaz de France che il cda di Acea fosse diventato più equilibrato, Alemanno e Caltagirone hanno deciso di scegliere un uomo di D’Alema, non uno del Pd”.