martedì 15 Ottobre 2024

La Grecia dalle reni spezzate

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Atene forse appassiona a torto.
Quello che accade non consente infatti di scegliere un campo preciso, al massimo rafforza un’ostilità concettuale nei confronti dell’Alta Finanza.
Ciò detto non si avanza  di un passo. La Grecia infatti è vittima dei banchieri e degli speculatori ma  anche di se stessa e della sua corruzione.
Oggi è un terreno di scontro di prima importanza.
Vi si gioca buona parte del futuro dell’euro o – in alternativa – della sterlina e del dollaro.
Sono in gioco la credibilità e la coesione europea con tanto di scenari consequenziali del tutto diversi tra loro (centralità del FMI, creazione di un Fondo Monetario Europeo, varo degli eurobond).
Su queste basi la protesta popolare, per gli effetti antieuropei che comporta, si potrebbe considerare persino nefasta, anglofila. Perché non si tratta affatto di difendere, come ci lasciano credere, lo Stato sociale contro il classismo liberista, ma semplicemente di decidere quale moneta e quale modello liberista coloreranno il classismo greco. E certamente se prevale il modello anglosassone l’Ellade starà ancor peggio di come oggi paventano.
Tuttavia l’Europa così come si esprime, così come si organizza e per l’anima tecnocratica e burocratica dei suoi apparati, non riesce davvero ad entusiasmarci.
In un’ottica populistica ci viene da tifare allora per le folle elleniche, immaginandole romanticamente in campo contro i sacerdoti del denaro. Ma non è così: esse sono comunque strumento di parte del clero borsistico e bancario, magari contro un’altra parte del nuovo sacerdozio.
Né si può sottovalutare il fatto che la rivolta non nasce dai produttori ma dai funzionari pubblici.
Da troppo tempo, da quando l’assistenzialismo e la corruzione hanno preso il posto dello Stato sociale, quello che chiamiamo welfare altro non è che una piaga parassitaria che ha prodotto la paralisi delle nazioni e lo sviluppo abnorme al loro interno di funzionari intoccabili che gravano sulle tasche pubbliche offrendo, in cambio, burocrazie elefantiache e necrotiche formate, in sovraggiunta, quasi interamente da presuntuosi custodi di ortodossie “progressiste”.
Queste schiere di guardiani della democrazia delegata e consociativa, all’opposto di quanto declamano, rappresentano la forza d’inerzia antinazionale, antieconomica e antisociale tanto nell’Ellade quanto da noi.
Atene quindi ci appassiona a torto.
Comunque andrà a finire  finirà male; c’è solo da sperare che l’esito non si riveli troppo vantaggioso per i paladini del dollaro e per quelli della City.
Per il resto possiamo dire che i greci tutto questo  se lo sono in fondo meritato; basti pensare alla gratitudine che hanno mostrato nei confronti di chi, come Patakos e Papadopulos, li aveva sottratti al disastro e, tra l’altro, aveva messo in riga proprio le banche costringendole a prestiti senza interessi a vantaggio dei ceti deboli, in particolare dei contadini. Li hanno rinchiusi all’ergastolo e si sono avviati gioiosi e sciocchi verso il precipizio. Un’allegra fuga in discesa compiuta in un’orgia  consociativa  nell’alveo di una democrazia clientelare rigorosamente rappresentata,  senza soluzione di continuità, dall’alternanza di due famiglie, i Karamanlis che si vogliono di destra e i Papandreu che si pretendono di sinistra; un quadro che a Corleone sarebbe apparso caricaturale.
E ora di che cosa si lamentano?

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