Nella giornata più politica del festival del cinema, si vede finalmente «Fahrenheit 9/11», il film anti-Bush molto applaudito di Michael Moore, il documentarista americano tenace e polemico di «Bowling a Columbine». Rivelazioni, sorprese, scoop? Non proprio: il film condensa tutte le consuete critiche a Bush e qualcuna di più, dando però informazioni molto interessanti.
Una riguarda gli speciali rapporti tra la famiglia Bush e la famiglia di Osama Bin Laden, a suo tempo partner d’affari (Osama Bin Laden aveva investito in Texas nell’immobiliare e in altri settori). Subito dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, su iniziativa della presidenza venne organizzato un volo speciale per allontanare dagli Stati Uniti una ventina di persone della famiglia di Osama Bin Laden che vi soggiornavano per studio, per salute, per lavoro. Con altrettanto zelo venne predisposta la protezione di talebani, di diplomatici e uomini d’affari dell’Arabia Saudita. Il contrasto tra simili gesti di premura, d’amicizia, e la condanna di Osama Bin Laden come Male Assoluto è piuttosto vistoso.
Ma, soprattutto, «Fahren- heit 9/11» mostra con sensibilità e rabbia quanto le televisioni nel mondo non fanno vedere mai: le facce delle madri disperate, i soldati avviliti e delusi, i reduci con le loro mutilazioni irrimediabili abbandonati negli ospedali, i bambini iracheni straziati, il dolore umano della guerra.