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L’Italia e l’Europa: un enigma

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Vista dalla sinistra politicamente corretta ma da leggere con attenzione

L’esito delle elezioni europee nel nostro Paese avranno cruciali riflessi ovviamente sull’Italia ma anche sull’Europa, perché siamo ad un tempo un Paese robusto per l’economia, pericoloso per il debito, instabile per la politica. Dal mix delle tre componenti può derivare o meno anche un profilo di pericolosità europea dell’Italia. Negli ultimi 10 anni l’Italia ha vissuto un periodo molto complesso nel quale si sono modificati i pesi delle tre grandezze. Nella prima fase lo snodo è stato il debito (2008-2013), nella seconda l’economia (2013-2018), nella terza appena iniziata (2018―) la politica. Le tre grandezze sono collegate e quindi andrebbero sempre considerate insieme. Io porrò al centro l’economia.

La peggiore crisi del dopoguerra: 2008 -2013
Nella crisi 2008-2013 l’Italia ha mostrato un grande senso di responsabilità, di dignità e di sacrificio. L’aumento della disoccupazione e quello delle tasse, la chiusura di aziende e l’emigrazione di un buon numero di giovani qualificati non ha generato rivolte e scioperi anomali anche per merito dei sindacati nell’orientare, pur senza rinunciare al loro ruolo, l’azione rivendicativa senza causare un collasso del sistema produttivo.
I dati sono impressionanti per un crollo del Pil di circa il 9% (a fronte di un decremento solo dello 0,7% nell’Eurozona), un tasso di disoccupazione passato dal 6,1% al 12,7% (nell’Eurozona un incremento dal 7,5% all’11,6%), un debito pubblico sul Pil passato dal 100% al 132% (nell’Eurozona dal 65% al 94%). Non voglio valutare adesso se e cosa sia stato sbagliato delle politiche economiche nel periodo citato e in particolare se abbiamo fatto bene o male a non chiedere, come Spagna e Portogallo che ora vanno molto meglio di noi, il sostegno dell’Europa e quindi la vigilanza della cosiddetta Troika (Commissione Ue, Bce, Fmi).
Nel citato periodo la solidarietà sociale ha retto in Italia rispetto ad altri Paesi che pur avendo una situazione di finanza pubblica migliore della nostra hanno avuto momenti più difficili. Varie reti di protezione hanno operato in Italia e tra queste le famiglie, la cui ricchezza netta (finanziaria e reale, comprese le abitazioni) sul reddito lordo disponibile e pro-capite è lievemente migliore di quello delle famiglie francesi.
Sappiamo anche che 1,7 milioni di famiglie italiane (pari al 7% circa) si trova in povertà assoluta. E questo è un problema da affrontare.
Sul problema dell’immigrazione che ora è al centro della campagna elettorale l’Italia è stata solidale e ancor di più lo sono state le società dei punti di approdo in Sicilia e nel Sud Italia che nella crisi stavano già soffrendo più delle altre Regioni. Eppure l’Italia ha affrontato anche l’immigrazione con generosa serietà e con professionalità nei salvataggi, al punto che Jean Claude Juncker nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2017 disse che l’Italia aveva salvato l’onore dell’Europa come continente di umanità e di solidarietà. Altro è il discorso della integrazione lavorativa e civile dei migranti che non voglio affrontare qui.

La faticosa ma coerente ripresa : 2013-2018
Nella XVII legislatura della Repubblica iniziata nel 2013 siamo entrati dunque con una eredità molto pesante e con un orizzonte di 5 anni molto difficile. Negli anni che ne sono seguiti fino agli inizi del 2018 con l’avvio della XVIII legislatura italiana il miglioramento italiano è stato netto perché la coesione sociale ha ancora retto, perché il sistema produttivo pur pesantemente danneggiato ha dimostrato resilienza e reattività specie nelle esportazioni, perché i tre governi dalle elezioni del 2013 al 2018 (Letta, Renzi, Gentiloni) hanno seguito politiche analoghe con presidenti del Consiglio e ministri dell’Economia (Saccomanni e Padoan, improntati a uno “stile Ciampi”) stimati e credibili in Europa. Con Enrico Letta l’Italia nel maggio del 2013 chiudeva la procedura di infrazione instaurata nei nostri confronti dalla Commissione Europea per aver superato il 3% di deficit sul Pil in tal modo liberando risorse finanziarie per la ripresa e dando tranquillità ai mercati dei titoli di Stato.
È stato un cambio di passo poco sottolineato ma cruciale che ha cominciato ad operare dal 2014. Con i Governi Renzi-Padoan e Gentiloni-Padoan la situazione ha continuato a migliorare sia pure a moderata velocità a causa dei nostri vincoli di finanza pubblica. A mio avviso il confronto più eloquente è quello con la Francia (la Germania fa storia a sé) che in termini di finanza pubblica è molto più solida dell’Italia e quindi ha potuto spendere di più. Dal II trimestre del 2014 al II trimestre del 2018 l’occupazione è aumentata in Italia di 1,15 milioni ovvero del 5,2% (Francia +2,7%), con il livello degli occupati dipendenti che hanno superato il livelli pre-crisi segnando un massimo storico e con il tasso di disoccupazione sceso dal 12,2% al 10,7%(Francia dal 9,9% al 8,7%); dal 2014 al 2017 il PIL e cresciuto del 3,6%(Francia +4,5%), il Pil procapite del 4,1% (Francia +3,3%), gli investimenti in macchinari e attrezzature sono cresciuti del tasso medio annuo del 6,8%(Francia +4,9%), il deficit sul Pil è sceso dal 3% al 2,4% (Francia dal 3,9% al 2,7%),il debito sul Pil si è stabilizzato intorno al 131% (in Francia +3,5 punti arrivando al 98,5%). Infine l’Italia ha avuto un saldo commerciale sull’estero positivo tra i 40 e 50 miliardi annui (la Francia negativo tra i 70 e 80 miliardi).

A che punto siamo nel 2019
Ciò non significa che a marzo del 2018 tutto andasse bene in Italia ed in Europa. Infatti molti problemi sono ancora aperti, ma non è vero che la XVII legislatura italiana e la VIII legislatura europea abbiano lasciato sul terreno solo macerie. Così come non è vero che l’Italia supererà tutti i suoi problemi quando il “Governo del Cambiamento” avrà rimodellato l’Europa così come sta facendo in Italia. Perché nel nostro Paese l’economia e il debito sono di nuovo a rischio mentre non lo sono in Europa e perché le scorciatoie politiche del sovranismo troppe volte nella storia hanno portato a disastri istituzionali. Il che non significa che l’Europa debba fare ancora molta strada ed ancor più l’Italia.

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