Per opporsi al multilateralismo e all’emancipazione dell’Europa gli americani fanno leva sui servi italiani
Le acque del Mediterraneo sono continuamente interessate da esercitazioni militari delle diverse flotte coinvolte in questo incandescente specchio d’acqua. Manovre che servono non solo ad addestrare l’equipaggio e i comandi ad alcune particolari situazioni di guerra (o in tempo di pace) ma anche a lanciare messaggi di carattere internazionale. La naval diplomacy è fatta anche di questo: dialoghi “materiali” messi in atto attraverso giochi di guerra e segnali di coordinamento e interoperabilità tra unità delle rispettive flotte. Messaggi che servono non soltanto per ricordare l’appartenenza a un blocco, ma anche per far capire chi o con che cosa si voglia continuare a portare avanti il dialogo.
L’ultimo esempio è quanto avvenuto nel Mar Ionio, dove il cacciatorpediniere missilistico classe Arleigh Burke, Uss Donald Cook, ha condotto un’esercitazione “di interoperabilità” con la fregata italiana Carlo Margottini e due aerei Harrier della Marina. Le navi hanno svolto le esercitazioni simulando in particolare due tipi di scenario che sono stati evidenziati anche dalla stessa Us Navy: difesa aerea e guerra antisommergibile. Il tutto mentre le navi hanno anche simulato il rifornimento in mare.
Una scelta non casuale, che conferma l’importanza di questi due elementi sia per la fotta americana che per quella italiana. Mentre gli Harrier manovravano in cielo coordinati dall’equipaggio delle navi, lo Uss Cook e il Margottini hanno infatti previsto l’utilizzo dei sonar per simulare la ciacca a un sottomarino nemico nelle acque del Mediterraneo. Scenario che non è così distante dalla realtà, dal momento che è già accaduto più volte che acque non così lontane da quelle dello Ionio fossero interessate da veri e proprio giochi “del gatto e del topo” per la presenza di sommergibili ostili o comunque “poco graditi” ad alcuni Stati. Pensiamo a quanto avvenuto al largo della Siria, dove i sottomarini russi sono stati molto spesso ricercati da mezzi aerei e navali della flotta americana e britannica, preoccupati dall’idea che Mosca possa così liberamente muoversi nei mari del Levante. Pensiamo anche più recentemente a quanto accaduto nell’Egeo, dove questa estate la marina greca ha ingaggiato una vera e propria sfida con la controparte turca addirittura facendo decollare i mezzi aerei antisom per stanare un’unità di Ankara che faceva da scorta alla Oruç Reis.
Le parole del tenente comandante Shawn Henry, della Uss Cook, sono un chiaro messaggio mandato direttamente dalla Sesta Flotta: “Oggi molti di noi sono rimasti commossi dalla nostra inconfondibile affinità con gli italiani e dalla forza che gli alleati possono prestarsi l’un l’altro”. “Gli italiani – ha aggiunto l’alto ufficiale Usa – sono professionisti consumati e sicuramente abbiamo imparato molto gli uni dagli altri. È sorprendente che due alleati possano unirsi così rapidamente e “collaborare”, proprio come faresti con un vecchio amico. È sensazionale quando guardi negli occhi un marinaio di una marina straniera dall’ala del ponte e ti rendi conto di quanto hai in comune. La giornata è stata gratificante sia dal punto di vista personale che professionale e siamo estremamente grati per questa opportunità”.
Al messaggio politico, si aggiunge un segnale invece rivolto proprio al futuro della flotta americana: “Lavorare con Margottini è stato particolarmente eccitante perché sembrava di lavorare con un futuro pezzo della Marina degli Stati Uniti”, ha detto Henry. Un segnale interessante non soltanto perché fa comprendere come per il Pentagono sia essenziale la capacità di operare in perfetta sintonia con le unità degli alleati Nato, ma anche perché le Fremm, di cui fa parte proprio l’unità italiana impegnata nello Ionio, sono particolarmente apprezzate Oltreoceano, a tal punto che gli Stati Uniti hanno già da tempo avviato una partnership con Fincantieri, in particolare con la controllata Marinette Marine Corporation, per la costruzione di dieci fregate che si ispirano in modo molto approfondito proprio alle navi del progetto italo-francese. È chiaro quindi per la Donald Cook addestrarsi con una Fremm italiana equivale non solo a un segnale di diplomazia navale, ma anche in interconnessione tra i due sistemi strategici. Tanto più che, come spiegato da Paolo Mauri su questa testata, quando il Pentagono vagliò il progetto delle fregate di Fincantieri, ad impressionare maggiormente gli americani fu “la capacità delle Fremm di sostenere in modo efficace il ruolo di difesa aerea e in particolare la potenza elettrica disponibile (12 megawatt, la stessa degli Arleigh Burke), che potrebbe dare spazio all’installazione a bordo, in futuro di armi ad energia diretta”. La stessa quindi della nave impiegata nello Ionio. La Sesta Flotta prende nota.