domenica 12 Ottobre 2025

Nell’Europa violentata

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Diario di viaggio verso le enclavi serbe accerchiate dai narcos del Kosovo

‘Diario dal Kosovo’, Gianluca Iannone racconta la missione de l’Uomo libero onlus e di CasaPound Italia nella ex Jugoslavia

I puntata, Belgrado

“Belgrado è stata definita moderna, trendy, metropolitana, underground, grintosa e pulsante. Belgrado è infatti una grande capitale culturale ma anche una città ricca di occasioni di svago e con una vivace vita notturna. Una capitale dall’architettura confusa ma interessante a metà tra lo stile socialista e lo stile bohemiene della dominazione austroungarica”. Questo è quello che dice la guida turistica di Belgrado. Forse quello che ci sta raccontando è quello che tutte le guide turistiche dicono di ogni città d’Europa. Quella stessa Europa un po’ stanca, distratta e facchina che abbandona tanto i suoi figli quanto il loro stesso diritto al futuro.
Stamattina abbiamo avuto un appuntamento con i funzionari del ministero serbo per Kosovo & Metohija. Ci hanno illustrato la situazione in cui versano i loro connazionali residenti in Kosovo e abbiamo condiviso le modalità con cui essere utili. Siamo qui per “riaccendere la speranza”, ambizioso progetto lanciato dalla onlus “l’Uomo Libero”, dalla Comunità Giovanile di Busto Arsizio e da CasaPound Italia, che prevede come prima fase l’installazione di due generatori elettrici all’interno di due enclavi serbe: presso la scuola primaria di Osojane e presso l’ospedale di Kosovska Kamenica. Entrambe le realtà versano in una situazione drammatica dovuta alla volontaria interruzione di energia elettrica da parte delle autorità albanesi. L’incontro è stato molto positivo e ha gettato le basi per una maggiore collaborazione nell’immediato futuro. Collaborazione che inizia sin da subito in realtà, con la messa a dispozione di una guida e di un interprete per la nostra spedizione conoscitiva di domani.
La giornata è andata avanti a lungo. Subito dopo questo incontro istituzionale, con i miei compagni di viaggio – Stè, Giò e Fà – abbiamo fatto una lunga passeggiata per il centro della città partendo dalla fortezza di Belgrado, che si affaccia nel punto in cui il Sava e il Danubio si incontrano. Una fortezza che ha affrontato 115 battaglie nel giro di cento anni … e 115 battaglie sono davvero tante, anche se “diluite” in cento anni… Ma la fortezza regge, eccome. In compenso il resto della città è sommerso nella neve.
A dieci anni dai bombardamenti dei liberatori, la città gode di uno stato di apparente rinascita. Pochissimi sono gli edifici ancora devastati. Ma per il resto la passeggiata per il centro non colpisce più di tanto la nostra attenzione: solite marche, solite griffe, soliti stili o imitazioni occidentali. Quello che ci colpisce però, e non poco, è l’incontro fissato verso le 16 a casa di un’intellettuale. Una ex comunista delusa, per sua stessa definizione, una serba che per trent’anni ha vissuto a Roma e che parla perfettamente italiano…
“E come mai ha vissuto a Roma?”, le chiediamo.
“Per amore di mio marito – spiega – era salernitano, e quando è morto nel 2007 sono tornata qui… Abbiamo vissuto per tanti anni in zona Laurentina… ed era un vero comunista”
”Ma i bombardamenti in Serbia furono spalleggiati/approvati da D’Alema, Bertinotti…”
“Traditori, vermi. Servi del capitale nella migliore delle ipotesi”
”Come vede la situazione nel Kosovo?”
“La vedo drammatica… Il governo serbo è completamente disinteressato a tutelare le minoranze serbe!”
“E’ un’affermazione molto grave, perché mai dovrebbe essere così?”
“Sono 250.000 i profughi serbi fuggiti dal Kosovo. Voi avete mai visto Krajevo? Bene, io l’ho vista! Più di 20.000 persone buttate là, senza più una storia, senza più un futuro. Disperati, spogliati di qualsiasi cosa, abbandonati al loro infame destino… Molti di loro piangono di continuo, si strappano i capelli. Sembrano pazzi, e forse lo sono diventati davvero”
“A dieci anni dai 78 giorni di bombardamento, come vede la situazione attuale? Ci sono movimenti, gruppi? Qual è l’aria che si respira in strada?”
“Disinteresse, apatia, frivolezza. Giovani e vecchi sono rassegnati, i pochi gruppi che si oppongono e parlano di sovranità nazionale vengono perseguitati…”
“In che senso vengono perseguitati?”
“E’ vietato ogni tipo di manifestazione in piazza. Non si può attaccare l’America, né la sua politica coloniale. Qualche volta mi è capitato di frequentare un gruppo, insieme ad altri vecchi come me ma anche insieme a giovani dal cuore puro: si chiama “1389”. Ebbene, il suo responsabile, Rade Lubicic, è stato preso e portato in carcere proprio durante una manifestazione nazionalista: la polizia è arrivata dicendo ‘la manifestazione è annullata adesso!’, lui ha giustamente fatto notare che semmai doveva essere annullata il giorno prima e lo hanno portato in carcere. Per 15 giorni”
“Incredibile… Ma è sicura?”
“Sono sicura eccome. Come sono sicura che il capo di Obras (‘la faccia’, tradotto in italiano) rischia -, notizia dell’altro ieri – fino a dieci anni di reclusione”.
‘Siete coraggiosi ad andare in Kosovo! E con questo tempo poi…”, aggiunge.
Sorridiamo e iniziamo a fare qualche altra domanda, incuriositi da questa donna molto snella e affascinante…
“Ma come un’intellettuale di sinistra che attacca il gay pride?”
“Vedete, non è questione di omofobia. I miei figli frequentano l’accademia di danza, hanno amici omosessuali che frequentano casa mia. Qui il discorso è diverso. L’omosessualità è sempre esistita, ma il gay pride è un diktat del pensiero unico. E’ una sottomissione culturale, è una pallottola in testa, è una ridicola danza intorno alle macerie”.
Mi fa strano sentire queste parole da una bella signora attempata e gentile di idee diverse dalle mie: nella sua casa nel cuore della vecchia Belgrado, dove i muri sono stracolmi delle foto dell’amore perduto e dei tanti libri, mi fa davvero strano. Mi guardo con gli altri e mi scappa un sorriso. Chissà cosa penserebbero delle parole di questa elegante signora – più vicina a loro che a noi, almeno sulla carta – i ‘compagni’ di casa nostra. Mi torna in mente quel vecchio film in cui Renato Pozzetto, operaio comunista, difendeva il gay Massimo Ranieri, venendo picchiato e minacciato dalla sua stessa classe operaia… Un altro pensiero va a Pier Paolo Pasolini, cacciato dal Pci proprio perché omosessuale. E tutto questo mi fa riflettere sul cambiamento dei costumi, sulle prese e sulle perdite di posizione.
“Mi spiega perchè il Kosovo è diventato albanese?”
Mentre inizia a rispondermi, sul suo viso compare come una smorfia di dolore …”Hanno vinto per la natalità. Fanno molti più figli di tutti i serbi nel Kosovo. Anche per una politica demografica scellerata. E contribuì pure Tito, facendo da padrino ad ogni decimo figlio nato da coppia albanese residente in Kosovo…”
Vorrei introdurre le mie conclusioni sul fallimento dell’ipocrisia marxista-leninista, sui deliri della classe operaia e sulle farneticazioni dell’uguaglianza. E’ evidente che la razza, intesa come spirito sangue terra, è superiore rispetto al concetto di classe. Ma taccio. In questa casa c’è già stato tanto dolore. E mentre sto per fare un’altra domanda lei attacca: ”Lo sapete che ci sono uccisioni all’ordine del giorno in Kosovo? Lo sapete che lì ci sono padri e madri di famiglia che spariscono ogni benedetto giorno? Avete visto in Italia il servizio del Tg2 sul traffico di organi? Lo sapete che la base Usa più grande d’Europa si trova propio nel sud del Kosovo?”
“No, forse non lo sappiamo, ma domani andiamo a vedere con i nostri occhi”, rispondiamo.
“Siete coraggiosi ad andare in Kosovo, con questo tempo poi…”
“Secondo lei l’abbandono della comunità serba in Kosovo può essere legata a un futuro ingresso della Serbia nell’Unione europea?”
“Così dicono, ma è un mero ricatto. E’ un distrarre”, dice.
Poi si alza: ci porta la pita calda con formaggio e verdura, è buona. E ci regala un libro scritto in duplice lingua. “‘Cuore di Lupo’ si chiama. L’ha scritto una ragazza di Roma che ha preso a cuore la causa serba e le sta dedicando tutte le sue forze”, spiega la bella signora. E’ una ragazza comunista, ci dice, e noi sorridiamo. Perché a noi questo non interessa.
Leggerò il libro nei prossimi giorni e se sarà bello e se lei sarà d’accordo vedremo di presentarlo a CasaPound.
Ce ne andiamo a malincuore: avevamo ancora milioni di domande da fare, ma abbiamo un appuntamento e questa volta è per una festa tradizionale in un ristorante del centro. I serbi sono cristiani ortodossi osservanti della “chiesa” serba. Non c’è un Papa: sono ortodossi appunto, come ortodossi sono i greci, i copti, i russi e così via… è un bel manicomio seguire le religioni, non c’è dubbio. Soprattutto nei Balcani.
Resta il fatto che la festa più importante in Serbia è il primo dell’anno, che viene anticipato da 6 settimane di “fast” che in inglese sarebbe digiuno e poi digiuno non è. Il digiuno qui inteso è cristianamente parlando: quindi non si mangia carne ma solo pesce e verdure. Da quanto abbiamo visto però si beve… e pure assai, anche se in concordia e avvolti nella musica…
Quando arriviamo alla festa ci troviamo di fronte a centinaia di persone sedute a tavoli imbanditi: battono le mani a tempo, bevono Kruscha (grappa), vino, birra e ballano danze tradizionali serbe. Con tanto di orchestrina, che poi orchestrina è per modo di dire visto che c’è il fior fiore di cantanti e musicisti di Belgrado, e poi violini, chitarre e fisarmoniche. Noi restiamo così, senza parole, in una danza balcanica coinvolgente dove ogni canzone dura minimo ventisette minuti e dove donne, uomini, ragazzi giovanissimi, TUTTI cantano a squarciagola le canzoni. “Sarà stata la guerra a farli unire così?”, penso.
E poi mi sento e ci sentiamo come catapultati in una scena di un film: stiamo scattando una nostra foto con il 3, il saluto serbo, e inizia a suonare una canzone sul Kosovo. Tutti si commuovono, e si commuovono sinceramente, e noi ci troviamo avvolti dagli applausi e dai loro sorrisi. Grande emozione. Ma dobbiamo andare…
Bella giornata, bella serata.
E domani andiamo a vedere quello che c’è da fare. (CONTINUA)

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