Una data così miseramente italiana, sempre di attualità
79 anni fa veniva a galla l’Italia profonda. Quel 25 luglio il Gran Consiglio fascista, capovolgendo il senso delle direttive del Duce, sfiduciava Mussolini, che il re avrebbe fatto arrestare l’indomani, e apriva una disastrosa crisi di governo paralizzando di fatto una popolazione sconcertata, abbandonata alla mercé degli invasori.
Era l’apoteosi della natura più miserabile degli italiani, quella della cialtroneria commediante, delle grandi affermazioni tronfie fatte solo per il pubblico, quella di gente che non assume le sue responsabilità e non fa mai i conti con il suo giudizio interiore ma con quello formale degli altri. Maestri nel cambiare le carte in tavola, nel capovolgere il gioco accusando di tradimento chi ha invece deciso di non compierlo, ad una sola cosa badano: a cascare in piedi coinvolgendo ammiccanti gli altri in quella caduta dimodoché – mal comune mezzo gaudio – la vigliaccheria passi per furbizia e buon senso.
Piroette
Filippo Anfuso, praticamente il solo diplomatico di livello che non fece il furbo, avuta notizia dello sbarco angloamericano del 9 luglio in Sicilia, si precipitò a Roma perché pensava, illuso, che si cercasse di rispondervi efficacemente e rimase sconcertato dal fatto che al Ministero nessuno pensasse neanche lontanamente a come contrastare l’invasione, ma tutti si domandassero cosa avrebbero fatto i nemici una volta a Roma e si preoccupassero del prosieguo delle loro carriere.
Il fascismo fino a quattro anni prima era all’apice del consenso popolare, molto vicino al cento per cento. I successi sociali, morali ed economici, la realizzazione dell’Impero e la vittoria nella Guerra di Spagna parevano segnare l’avvento di un’Era Fascista. Il partito comunista, su iniziativa di Togliatti, aveva redatto un “appello ai fratelli in camicia nera” mediante il quale cercava di essere sostanzialmente ammesso nella galassia mussoliniana. (Un 25 luglio ante litteram e di altro colore, ma di medesimo sangue).
La gara d’inchini
Di colpo quasi tutti, soprattutto gli intransigenti e i fanfaroni, si accorgevano che il fascismo in fondo sbagliava, che l’Impero non si sarebbe dovuto fare, che invece di allearsi con i tedeschi si sarebbero dovute subire le umiliazioni degli inglesi, che proseguire la guerra avrebbe significato versare sangue inutile e tanto valeva arrendersi. (Vi ricorda qualcosa quello che molti italiani suggeriscono oggi agli ucraìni?) Si cominciava a scodinzolare verso i potenti, a scoprire che la democrazia, che il capitalismo, che il comunismo, che qualsiasi cosa.
E ci fu la gara a mettersi a disposizione dei futuri padroni, per riconoscimenti e prebende. Si dovette alla pusillanimità di Vittorio Emanuele e di Badoglio il ritardo nella proclamazione del tradimento (che ovviamente fu accompagnato dall’accusa di traditore nei confronti di chi non lo commise).
Si cercò di essere riconosciuti come “cobelligeranti” dai nemici che avanzavano e che, giustamente, sputarono in faccia ai loro collaboratori, onorati invece dalla risposta della RSI.
Si rinnegò l’insurrezione popolare contro gli americani nella Piana di Catania, non solo si perdonarono, ma si applaudirono i bombardamenti a tappeto sui civili e le distruzioni d’intere parti delle nostre città sostenendo che in fondo la colpa non era degli assassini seriali ma del fascismo che non si era arreso. (Anche qui una significativa analogia con quello che certi italiani, financo definentesi fascisti, affermano sull’Ucraìna, che verrebbe massacrata e morrebbe perché non si è arresa e quindi starebbe commettendo un criminale suicidio, mentre i boia che la devastano non farebbero che il proprio dovere…)
“Sono cambiati i tempi”
Questa profonda fogna italiana ripete puntualmente a esondare e non mi riferisco solo al sostegno ai denazificatori dell’Ucraìna, ma a tanti e tanti rivoli e torrenti di ogni lezzo. Tutto ciò per cui ci battemmo, dall’aristocrazia popolare all’Europa nazione, dal corporativismo al ciclo eroico, sarebbero cose del passato, desuete impossibili. Ma si sa: chiunque non ha voglia di fare qualcosa, specie se impegnativa, trova tutte le scuse possibili e immaginabili per disertare. In compenso va bene ogni altra scelta che lo possa mettere in corsa per qualche voto, qualche consenso, qualche applauso o qualche monetina, tanto “sono cambiati i tempi”, esattamente come 79 anni fa.
Vanno allora bene le ammucchiate tra scarti psicosociali di ogni colore e patologia, o la fedeltà all’Alleanza Atlantica, oppure essere al servizio della Nato in modo più organico e sostanzioso a sostegno della falsa alternativa del complice Putin, la sua vera stampella. Va bene la difesa del Dollaro contro l’Euro (rigorosamente in nome di un’avversione al Dollaro, altrimenti che cialtroni si sarebbe mai?) Tutto può essere messo nel menu di un esagitato antagonismo onanistico la cui preoccupazione primaria è di voltare le spalle al proprio credo, mantenendo però l’atteggiamento esteriore, altrimenti come si potrebbe essere italiani? È consentito allora difendere la Costituzione scritta dagli antifascisti e rivendicare la centralità del Parlamento partitico. Si può quindi tranquillamente applaudire alla “denazificazione” che procede con bandiere sovietiche e con metodi bolscevichi massacrando un popolo europeo, e farlo in compagnia dell’ultrasinistra antifa, radicata militarmente, politicamente ed economicamente nel Donbass, trovandosi come compagni di strada gli Achille Lollo. Tanto “i tempi sono cambiati”.
Certo che si può! È così italiano….
C’è sempre la scusa pronta: dall’altra parte ci sarebbe la Nato, il che è più falso che vero, ma qualora fosse più vero che falso cosa cambierebbe da come ragionarono allora quando decisero o di stare con i banditi comunisti per opposizione al capitalismo o di andare dietro agli angloamericani perché “in fondo è meglio se ci liberano loro”?
Quanto siete profondamente italiani, oggi come ieri! I tempi saranno anche cambiati, ma voi siete sempre gli stessi.