Tagli di finanziamenti, calo di livelli, misto di popolazioni
La ripresa dell’anno scolastico, il primo dalla fine ufficiale dell’emergenza sanitaria da Covid-19 non ha cancellato l’impoverimento educativo generato dalla pandemia sull’apprendimento e sul benessere psicologico degli studenti, soprattutto tra i minori in svantaggio socioeconomico.
Se la pandemia ha rimesso al centro l’importanza degli investimenti sull’istruzione, dopo l’emergenza la percentuale di Pil investita dal nostro Paese in questo settore è tornata a scendere al 4,1%, contro una media europea del 4,8%, a cui si aggiunge la carenza di servizi come asili nido, mense e tempo pieno.
La copertura nelle strutture educative 0-2 anni pubbliche e private nell’anno educativo 2021/2022 è pari a 28 posti disponibili per 100 bambini residenti, ancora al di sotto dell’obiettivo europeo del 33% entro il 2010 e lontano dal nuovo obiettivo stabilito a livello europeo del 45% entro il 20303. Secondo gli ultimi dati disponibili (anno scolastico 2021/2022) ancora solo il 38,06% delle classi della scuola primaria è a tempo pieno (sebbene in crescita rispetto a 5 anni prima, 32,4% nell’anno scolastico 2017/2018) e poco più della metà degli alunni della primaria frequenta la mensa scolastica (54,9%, contro 51% dell’anno scolastico 2017/2018). Per l’organizzazione, dunque, “non sorprende che la dispersione scolastica in Italia sia superiore rispetto alla media europea” (rispettivamente 11,5% e 9,6% nel 2022) e che l’8,7% di studenti si trovi in condizione di dispersione implicita (secondo i dati Invalsi del 2023), percentuale in diminuzione rispetto allo scorso anno, ma ancora più elevata rispetto a quella registrata prima della pandemia (era del 7,5% nel 2019).
Le studentesse e gli studenti che si trovano in condizione di dispersione implicita sono studenti che, pur ottenendo il diploma di scuola superiore, non raggiungono i livelli di competenze richieste nelle prove di italiano, matematica e inglese, bensì mostrano livelli corrispondenti agli obiettivi formativi previsti per gli studenti di terza media. Queste sono alcune evidenze emerse nel Rapporto “Il Mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane”, diffuso oggi da Save the Children in vista della riapertura delle scuole: una fotografia delle diseguaglianze educative che compromettono i percorsi di crescita di bambine, bambini e adolescenti in Italia.
La scuola italiana è alle prese con un numero sempre minore di studenti, a causa del calo demografico che da anni investe il nostro Paese: rispetto a 7 anni fa, quasi 71.000 bambini in meno hanno varcato la soglia della scuola elementare e le classi sono sempre più multiculturali. Sono più di 800 mila i minori stranieri, pari ad oltre 1 su 108 (10,6%) tra gli iscritti nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie. Il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana, per l’organizzazione, ha un impatto sul successo scolastico e segna il loro percorso di crescita. Molti studenti con background migratorio, pur nascendo o crescendo in Italia, hanno meno opportunità rispetto ai loro compagni di scuola, a partire dall’inserimento alla scuola dell’infanzia, al ritardo scolastico dovuto alla collocazione in classi inferiori a quelle corrispondenti all’età anagrafica o alla mancata ammissione all’anno successivo, fino all’abbandono precoce. Questi studenti incontrano maggiori difficoltà, ad esempio, a partecipare a gite scolastiche e scambi culturali all’estero e, successivamente, anche ad accedere all’Università o ai concorsi pubblici. In Italia solo il 77,9% dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1% per i nati in Italia) contro il 95,1% degli italiani, sperimentando così, fin dai primi anni di vita, percorsi scolastici e educativi diversi. Tra gli studenti con background migratorio si registrano maggiori ritardi scolastici, casi di dispersione e abbandono scolastico.
Mentre gli studenti di origine italiana in ritardo nell’anno scolastico 2021/22 rappresentavano l’8,1%, quelli con cittadinanza non italiana erano il 25,4%, con un divario che diventa ancora più allarmante nella scuola secondaria di II grado (16,3% contro il 48,4%). Le disuguaglianze si rilevano anche negli apprendimenti: al termine del primo ciclo di istruzione la percentuale degli studenti che non raggiungono le competenze adeguate in italiano, matematica e inglese (secondo i dati Invalsi 2023) tra gli immigrati di prima generazione è doppia (26%) rispetto agli studenti italiani o stranieri di seconda generazione13. A gravare sul percorso educativo dei minori con background migratorio, anche le condizioni di povertà economica e l’impatto della pandemia. L’11% degli alunni con background migratorio ha dichiarato di aver avuto periodi di interruzione della scuola di sei mesi o più contro il 5,9% degli studenti con genitori italiani. Tra i minori con background migratorio che hanno risposto di aver smesso di frequentare la scuola per periodi prolungati e che non hanno cittadinanza italiana, l’8,3% indica tra le motivazioni principali16 il fatto che non ci fossero posti disponibili a scuola, il 3,2% la conoscenza limitata della lingua italiana, il 2,2% la necessità di aiutare i genitori a casa e il 2,5% il fatto che la scuola non sia utile. Queste percentuali scendono nettamente tra i minori con background migratorio che hanno la cittadinanza italiana: solo l’1,5% afferma di non aver trovato posto a scuola.