Folto pubblico per gli interrogativi internazionali posti da Polaris
Il Centro Studi Polaris, con il patrocinio dell’OSCE PA in collaborazione con l’OIM, ha indetto un incontro internazionale sul Mediterraneo, cui hanno partecipato docenti, diplomatici, giornalisti e studiosi di varie nazioni. L’incontro, di cui noreporter darà successivamente una relazione più precisa, si è tenuto il 10 giugno in Piazza Venezia, nella Sala Imperatori.
Per oltre quattro ore e mezzo più di duecento persone hanno ascoltato attentemente i diciassette relatori provenienti da vari nazioni e osservato le slides, proiettate continuamente, che esprimevano le posizioni del Centro Studi.
Presenti varie testate e agenzie stampa e il tg2.
Per ora, il riassunto d’agenzia:
Cooperazione tra i Paesi del Mare Nostrum, questo il concetto che ritorna nelle parole dei numerosi relatori che sono intervenuti al convegno ‘Pax Mediterranea’, questo pomeriggio a Roma. Convegno organizzato dal Centro studi Polaris per discutere della situazione nel Mediterraneo, dalle sponde del sud dell’Europa a quelle del Nord Africa. Molti i temi trattati, dalle recenti rivolte nel Nord dell’Africa all’ormai radicata questione israelo-palestinese, dal problema della delocalizzazione delle imprese e della conseguente disoccupazione ai conflitti energetici. L’idea di fondo è quella dell’importanza di ridare centralità al Mediterraneo, rilanciando una cooperazione e un’unione tra i Paesi europei e non, che si affacciano sul Mare Nostrum per risolvere insieme i problemi e affrontare le sfide del futuro. “Spero che di incontri come questi ce ne siano altri – ha auspicato Riccardo Migliori, presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Osce (auspicandolo successivamente in un comunicato stampa della stessa Osce) – perché spesso la stampa italiana non è sufficientemente attenta ai problemi di politica estera, che invece meriterebbero un’attenta e costante analisi anche da parte dell’opinione pubblica”.
La tesi del Centro studi Polaris è che il Mediterraneo sia uno scenario passivo dei giochi geostrategici. ”E’ necessario che i Paesi delle diverse sponde possano gestire insieme la pressione demografica e lo sviluppo economico – si è spiegato – Ma è anche necessario che quest’ultimo non faciliti la delocalizzazione delle imprese europee e che l’immigrazione incontrollata non arrechi povertà, disoccupazione, conflitti etnici e guerre sociali in Europa. Problemi che vengono acuiti dallo spettro irreale dello ‘scontro di civiltà”’. Secondo il Centro studi più ci si avvicina alle arterie della droga e dei flussi energetici più si acuiscono questi ‘scontri di civiltà’ e, quelli che minacciano l’ Europa, si sviluppano soprattutto attorno all’antica via della Seta, oggi arteria del narcotraffico. Al momento non si ravvedono politiche efficaci per lenire le piaghe dell’area che non riguardano solo l’attuale guerra in Libia ma anche la tragedia di Gaza o le esazioni nelle enclavi serbe in Kosovo. Né si procede efficacemente per risolvere la questione della Green Line che divide Cipro.
E’ possibile lavorare in concerto. Ma bisogna decidere se il modello che viene comunemente proposto è davvero la soluzione.
Dobbiamo imporre una standardizzazione? Non si calcola che molti degli errori da correggere sono stati fatti per attenersi ad alcuni preconcetti del modello dominante. Né si considera che la democrazia occidentale, a pioggia dagli USA, dall’ufficiale vocazione iniziale alla partecipazione diretta sta passando sempre più ad un’inquietante tele-democrazia, una democrazia spettatrice guidata dagli opinionmakers. Ciò che pone non pochi interrogativi futuri.
Per soluzioni ottimali servono cooperazioni fiere e non delegare tutto a regolamentazioni sovranazionali né attenersi pigramente a tutti i preconcetti del modello dominante.
Fantasia al potere; nel solco armonico delle rispettive tradizioni.