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Pentagono, più soldati in Iraq

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ma resteranno sei mesi.
Potenziamento delle truppe, dimezzata la rotazione
Nuova strategia in vista del trasferimento dei poteri
Fino a 25 mila unità in più, l’annuncio di Casey
Il capo del Centcom “Il rafforzamento è necessario”

Un rafforzamento della presenza militare statunitense in Iraq, tra le 15 e le 25mila unità da aggiungersi ai 138mila militari presenti ora, con un’accelerazione delle rotazioni, di sei o sette mesi invece che di un anno. E’ questa la nuova strategia del Pentagono in vista del trasferimento dei poteri del 30 giugno, che vedrà la trasformazione delle truppe di occupazione in una forza multinazionale a guida statunitense.

E’ stato il generale George Casey, che sostituirà il generale Ricardo Sanchez, travolto dallo scandalo di Abu Ghraib, a riferire al Congresso la decisione di potenziare le brigate già presenti in Iraq. ll generale John Abizaid, il capo del Centcom, sta ancora pianificando la situazione: “Con i senatori che dovranno confermare la mia nomina sono stato chiaro su un punto: in previsione del passaggio dei poteri il prossimo 30 giugno non è possibile pensare ad una riduzione delle forze presenti sul campo. E’ necessario un rafforzamento”.

Il ministro della Difesa statunitense Donald Rumsfeld ha pensato di ridurre il periodo di “ferma” in Iraq, la cui durata al momento è di un anno, approntando piani di rotazione ogni sei-sette mesi. Il capo del Pentagono, rivela oggi il “Los Angeles Times”, ha chiesto così al capo dello stato maggiore dell’Esercito, Peter Schoomaker, se sia possibile estendere anche all’Esercito il sistema di rotazione già adottato dai Marines, che prevedono un invio in missioni all’estero per 6-7 mesi ogni due anni.

“Sarei interessato a sapere da voi perché pensate che dobbiamo avere rotazioni ogni 12 mesi, e se sareste d’accordo a cambiare per turni di sei o sette mesi” si legge in una proposta inviata da Rumsfeld il 14 giugno scorso, che riconosce lo stress delle truppe, dal momento che per molti militari inizierebbe ora il secondo anno, dopo una breve pausa, di “ferma” in Iraq o Afghanistan.
I vertici dell’Esercito, però, sono tradizionalmente contrari a ridurre i tempi di permanenza: l’efficienza delle forze sul campo diminuirebbe, più alti i costi delle missioni.

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