Anche la Francia, così come gli Stati Uniti da tempo impegnati nel controverso progetto Yucca Mountain, sta progettando il proprio deposito definitivo per le scorie nucleari ad alta radioattività, quelle destinate a restare pericolose per un periodo nell’ordine dei 300.000 anni.
Il luogo scelto dalle autorità francesi per accogliere il cimitero delle scorie non sarà in questo caso rappresentato dall’interno di una montagna, bensì da una serie di caverne artificiali, scavate a grande profondità ai confini dei dipartimenti della Meuse e della Haute Marne, proprio al di sotto delle colline dove i viticoltori francesi coltivano i vigneti che producono il nobile Champagne.
La costruzione del deposito, il cui progetto viene portato avanti dall’Andra, l’organismo francese che si occupa della gestione dei rifiuti radioattivi, dovrebbe iniziare nel 2015 e terminare nel 2025, quando le caverne potranno iniziare ad accogliere le prime scorie. Il costo della struttura dovrebbe ammontare a circa 60 miliardi di euro, una cifra la cui entità dovrebbe indurre a più di una riflessione riguardo alla propagandata “economicità” dell’energia elettrica francese prodotta attraverso l’atomo. Il deposito sarà in grado di contenere 6 mila metri cubi di scorie altamente radioattive e al ritmo di produzione attuale dovrebbe essere riempito completamente già nel 2030, appena 5 anni dopo il termine dei lavori. In seguito, dicono le autorità francesi, sarà possibile ampliarlo o costruirne un altro similare.
I comuni interessati dal progetto verranno ricompensati con uno stanziamento di circa 20 milioni di euro, destinati alla costruzione di scuole ed infrastrutture sul posto. Alcuni hanno accettato di buon grado la decisione, altri si sono manifestati contrari.
Gli scienziati francesi hanno scelto una zona scarsamente sismica e contano per la buona riuscita dell’operazione su quello stesso materiale roccioso contenente argilla che da vita alle uve dello Champagne, scarsamente permeabile sia all’acqua che alla radioattività. Le scorie nucleari verranno collocate all’interno di sarcofagi in acciaio inossidabile, schermati da un secondo involucro in vetro, lunghi circa un metro e sessanta e larghi 64 centimetri, che saranno predisposti per il movimento e la gestione automatizzati e andranno ad inanellarsi all’interno delle catacombe scavate nella roccia. Gli esperti si dicono consci del fatto che la tenuta dei contenitori non potrà superare i 300 anni, ma contano sul fatto che comunque il materiale argilloso riesca nel tempo a limitare la risalita della radioattività in superficie per un tempo sufficientemente lungo. Naturalmente ammettono loro stessi come le reazioni chimiche determinate dalle radiazioni dentro i fusti, la fisica dei flussi all’interno delle materie radioattive immagazzinate, il comportamento dei metalli e del cemento impiegati nello stoccaggio, la possibilità stessa che lo scavo delle catacombe possa danneggiare la roccia e creare crepe entro cui si potrebbe infilare l’acqua, offrendo alla radioattività una facile e rapida via di fuga, costituiscano delle variabili potenzialmente infinite che li portano ad affermare come “in questo campo non esistano certezze scientifiche”. Certezze scientifiche che, anche qualora esistessero, rischierebbero comunque di venire minate dagli eventi imprevedibili.
(terremoti, guerre, attentati terroristici ecc.) che potrebbero succedersi all’interno di un arco temporale (300 mila anni) di siffatte dimensioni.
Proprio per queste ragioni, oltre che in virtù della legge francese sulle scorie che prevede esplicitamente la “reversibilità” dei depositi, è previsto che le catacombe una volta sigillate restino comunque “aperte” alle ispezioni dei tecnici e ad un’eventuale estrazione per un periodo di 100 anni, nell’eventualità che la scienza individui dei metodi di stoccaggio più sicuri di quello scelto.
Come già nel caso di Yucca Mountain la soluzione sembra in realtà tutt’altro che definitiva a causa dell’assoluta mancanza di certezze, ma ciò che più colpisce è la scarsa capacità offerta da progetti di questo genere, di assorbire il continuo accumularsi delle scorie radioattive prodotte dalle centrali esistenti. A fronte di un progetto come quello francese, del costo esorbitante di 60 miliardi di euro, si renderà infatti necessario immediatamente dopo il suo completamento già il varo di un nuovo progetto simile per costi e dimensioni, che una volta terminato dovrà essere seguito da un altro e così via.
Il governo italiano (e la lobby dell’atomo che ne condiziona le scelte) dovrebbero riflettere profondamente, trovandosi oltretutto già alle prese con il problema delle scorie derivante dalla nostra eredità nucleare.
Decine di miliardi di euro investiti nella costruzione di nuove centrali nucleari, sommati ad altre decine di miliardi di euro da destinare alla realizzazione di un deposito per le scorie radioattive simile a quello francese (magari al di sotto delle colline del Chianti o del Barolo) ammesso che in Italia sia possibile individuare un sito con caratteristiche assimilabili, non costituirebbero sicuramente una buona buna idea.
L’energia ricavata mettendo a repentaglio la salute della popolazione, si rivelerebbe infatti anche economicamente molto più costosa di quella ottenibile con qualsiasi altra fonte, comprese quelle rinnovabili che rispettano sia la salute che l’ambiente.