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Quella mano di nero per coprire il rosso

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Stragi cui si assegnano sempre falsi colpevoli

Dopo 41 anni e dodici processi, per la strage di piazza della Loggia, che provocò otto morti e 102 feriti, la giustizia italiana ha sentenziato che Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, entrambi di Ordine Nuovo, sono il mandante e l’esecutore del massacro compiuto a Brescia il 28 maggio 1974. Ma depistaggi, false piste e indagini abbandonate, costellano uno dei tanti misteri italiani. Innanzitutto il filo rosso che collega la bomba di Brescia a quella alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Francesco Marra, uomo definito dalla Digos «simpatizzante delle Brigate Rosse» e considerato un infiltrato da uno dei capi delle Br, Alberto Franceschini, la notte prima dell’esplosione è in un hotel di Bologna situato a 200 metri dalla stazione. Notizia tenuta segreta per più di 30 anni, nonostante la Digos di Milano avesse rivelato la circostanza ai magistrati di Brescia. Questi ultimi inizialmente indagano non sull’estremismo di destra ma sull’eversione “rossa”. Tuttavia quel filone d’inchiesta viene messo da parte, anche per volere dell’allora ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, che invita gli inquirenti a guardare altrove perché «la strage era chiaramente fascista».

A raccontarlo in commissione Stragi è il pm che avvia l’inchiesta sulla bomba bresciana, Giovanni Arcai. Marra, che ha sempre respinto i sospetti e non è mai stato ufficialmente accusato, in quegli anni abita nel quartiere Quarto Oggiaro di Milano. Nello stesso posto vive un secondo brigatista, Arialdo Lintrami, che nel giorno della strage di piazza della Loggia si trova a Brescia. Anche Lintrami, morto da tempo, si è sempre proclamato innocente. Interrogato nel 1996, spiega la sua presenza in città con una visita ai parenti della consorte, e aggiunge di essersi recato in piazza solo dopo aver sentito per radio la notizia dell’attentato. Ma la moglie e il cognato lo smentiscono, collocando la visita al 29 maggio. Anche Franceschini e un altro capo storico delle Br, Renato Curcio, affermano di non essere mai stati informati da Lintrami della sua presenza in città. Non è tutto. Il numero di telefono dell’appartamento di Lintrami in via Inganni, zona Lorenteggio, centro nevralgico delle Br milanesi, viene scovato nell’agenda del neofascista infermo di mente Ermanno Buzzi, condannato e poi assolto per la carneficina. Nella stessa via in quegli anni abita Pierino Morlacchi, uno dei fondatori del primo nucleo delle Br, che subito dopo la strage di Brescia si dà alla fuga verso la Germania dell’Est. Ma i servizi segreti “comunisti” d’Oltrecortina lo respingono, motivando la scelta col suo coinvolgimento in un «attentato dinamitardo» delle Br in Italia «dove ci sarebbero stati numerosi morti e feriti».

Gabriele Adinolfi, nel 1978 tra i fondatori dell’organizzazione di estrema destra Terza Posizione, nel libro «Quella strage fascista. Così è se vi pare», ribadisce che anche Morlacchi il 28 maggio 1974 è a piazza della Loggia e spiega che in una telefonata, registrata, si sente la direttrice dell’associazione Italia-Cuba riferire alla moglie dell’ambasciatore cubano che erano a conoscenza della preparazione dell’attentato fin dalla vigilia. Parlando con «Il Tempo», Adinolfi aggiunge che «fu il segretario di Stato americano Henry Kissinger a intervenire su Taviani, a cui chiese di impedire che la verità sull’attentato venisse a galla, pena l’impossibilità per il Pci di approdare nell’area di governo».

 

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