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Savoia-Napolitano e quella tradizione del popolo come gregge

Quando si parla dell’Italia come di un paese bloccato, nella maggior parte dei casi si allude alla stagnazione economica, all’immobilismo delle istituzioni o al mancato ricambio della classe dirigente. Tutto vero. Ma questi non sono altro che i sintomi di una malattia ben più radicata nella nostra storia. Potremmo chiamarla la “malattia dello squilibrio”, ed è all’origine dell’atteggiamento schizofrenico tipico del governo italiano (di qualunque colore esso sia) tramite il quale si rende sistematicamente impossibile risolvere la crisi economica, il caos istituzionale, il ricambio di una classe dirigente patetica e inadeguata.
Per capire di cosa stiamo parlando è necessario ricondurre l’analisi agli effetti. Prendiamo in esame tre momenti cruciali nel trascorso recente del nostro Paese: la caduta del Fascismo, la fine della Prima Repubblica, e il momento che stiamo vivendo in questi ultimi anni, ovvero l’epilogo dell’era Berlusconiana. Qual’è il legame tra questi tre eventi? Innanzitutto che rappresentano la fine delle tre ere che compongono la nostra storia più prossima. In secondo luogo, i principali attori sono sempre gli stessi: il Capo dello Stato ed il Capo del governo. Poi la dinamica. Quella di un capo di Stato che scioglie un governo politico in favore di un governo “tecnico”. E ancora la motivazione: in tutti e tre i casi l’Italia si trova sotto attacco (militare nel primo caso, finanziario nel secondo e nel terzo) ed il Napolitano di turno (Vittorio Emanuele prima, Oscar Luigi Scalfaro nella seconda) vuole arrendersi e consegnare il paese al nemico. Infine il metodo: in tutti e tre i casi il “cambio” (per citare un libro di Vespa sull’argomento) avviene in maniera a dir poco tragica: la prima volta ci rimettiamo tutto l’esercito, l’indipendenza e una guerra civile di due anni. La seconda ci costa la svendita del patrimonio nazionale e una crisi economica di dieci. La terza ci sta costando il doppio della seconda. Di questo passo non voglio immaginarmi quanto ci farà male la quarta.
Eppure ci sono altre due costanti che vale la pena di considerare: la prima è che gli esecutori materiali di tutti e tre i “cambi” sono assurti ai massimi livelli dello Stato: si pensi a Badoglio che presiede ben due governi, a Ciampi, ex Presidente della Banca d’Italia che diventa prima Capo del governo e poi addirittura Presidente della Repubblica, a Monti che si insedia a Palazzo Chigi. L’altra, la più importante e definitiva: il Capo dello Stato non paga mai. Non viene sottoposto a voto popolare, non viene sfiduciato dal parlamento, non rende conto a nessuno, tantomeno alla nazione che rappresenta. Il Re Vittorio Emanuele, dopo aver convissuto col Fascismo per vent’anni, lo affossa con un colpo di Stato, getta il paese nella guerra civile ma rimane sul trono. Ci vorranno le pressioni degli americani per arrivare al referendum del 1946, e alla fine rischia quasi di vincerlo. Nel secondo caso Tangentopoli spazza via la Prima Repubblica, costringe Craxi a fuggire in Tunisia, ma il Capo dello Stato, che è espressione di quella classe dirigente (perché da quel parlamento è stato votato) non viene toccato, malgrado su di lui sussistano dubbi riguardo presunte trattative con la mafia, coinvolgimento nel sistema del finanziamento illecito ai partiti, fino alla collaborazione con i servizi segreti. Nell’ultimo caso si tocca il paradosso, con il Presidente della Repubblica eletto dalla maggioranza del Pdl che fa cadere il governo del Pdl per poi farsi nuovamente rieleggere con i voti di Berlusconi. Praticamente un immortale.
C’è quindi un grosso squilibrio nel nostro paese tra potere politico e responsabilità politica, un bipolarismo nel quale l’esecutivo detiene il minimo potere e la massima responsabilità, mentre il capo dello Stato decide chi, come e quando deve governare, ma non si assume alcuna responsabilità nei confronti degli Italiani. Una prova tangibile di questo? In un secolo e mezzo di storia unitaria si sono susseguiti centoventiquattro governi, praticamente uno all’anno se si considera che quello di Mussolini ne durò venti. Soltanto due di questi sono riusciti ad arrivare in fondo alla legislatura. Se guardiamo invece ai Presidenti della Repubblica, notiamo come tutti tranne uno (Cossiga che si dimise da solo) abbiano portato a termine il loro mandato. Considerando che per statistica ogni presidente ha avuto la possibilità di nominare tra i cinque e i sei governi nel corso del suo mandato, è evidente come il Capo dello Stato non sia minimamente responsabile delle azioni compiute dai governi che egli stesso nomina.

 

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