“Le navi da guerra di Ankara proteggeranno l’arrivo via mare di aiuti umanitari a Gaza”: il premier Recep Tayyp Erdogan continua a buttare benzina sul fuoco, che sta incenerendo le relazioni tra Turchia e Israele.
Quest’ultimo colpevole di non essersi scusato per l’arrembaggio del 2010 alla flottiglia filo-palestinese Mavi Marmara, costato la vita a 9 turchi.
Nei giorni scorsi Erdogan aveva annunciato la ‘‘sospensione totale’‘ dei rapporti militari e commerciali con l’ex alleato, ed una possibile provocatoria visita a Gaza.
Oggi fa sapere che non permetterà ad Israele di spadroneggiare nello sfruttamento delle risorse naturali del Mediterraneo orientale.
È chiaro che in gioco c‘è molto di più che l’ottenere un mea culpa per l’assalto alla nave turca.
Lunedì prossimo Erdogan sarà a Il Cairo per firmare una storica alleanza militare ed economica con l’Egitto.
L’obiettivo è quello di estendere l’influenza della Turchia su aree non raggiunte negli ultimi decenni.
Il contraltare della svolta turca è il raffreddamento con la Siria, destabilizzata dai Fratelli Musulmani, mossi dalla centrale d’Egitto su impulso angloamericano.
L’allargarsi dell’influenza turca se da un lato può fornire qualche speranza a breve termine alla Striscia di Gaza, dall’altro può costringere la Siria ad una più forte interdipendenza con l’Iran.
Visto che i motivi di attrito turco-iraniani esistono, a medio tremine Tel Aviv potrebbe assistere ad un conflitto d’interessi tra Ankara e Teheran.
La sensazione è che molto del futuro dipende da come si determineranno i rapporti di forza all’interno dell’Egitto.