lunedì 14 Ottobre 2024

Rinasce la Carlo Terracciano

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Cronache di ricostruzione da  Oo Kro Khee liberata


La temperatura si aggira attorno ai 40 gradi. Il distretto di Dooplaya è battuto da un sole  impietoso, che saluta gli ultimi giorni della stagione secca mettendo a dura prova gli  abitanti di Oo Kro Khee. Tante famiglie. Tante storie simili tra loro. Persone fuggite dall’interno della giungla alcuni anni fa, per sottrarsi alle violenze e ai soprusi dell’esercito  birmano.
Donne scampate ai crudeli trattamenti riservati alle madri ma anche alle bambine  Karen da parte della soldataglia che ha attaccato i villaggi a colpi di mortaio per poi  occuparli, saccheggiandoli e bruciandoli. Avevano trovato rifugio qui, a pochi chilometri dal  confine con la Thailandia, una zona ritenuta abbastanza sicura per la presenza di alcune unità dell’esercito di liberazione Karen. Ma un anno e mezzo fa avevano dovuto scappare di nuovo, nel pieno della notte. Birmani e partigiani della milizia del DKBA avevano attaccato in forze tutta l’area.
La resistenza Karen era stata piegata, e le famiglie di Oo Kro Khee non avevano nemmeno avuto il tempo di raccogliere le pentole in cui cuocere un po’ di riso. Si erano precipitati oltre il confine, incalzati dalle truppe nemiche. Dall’altra parte i militari tailandesi li avevano bloccati: “qui non potete stare” avevano detto intimando di tornare in territorio birmano. Così, per 18 lunghi mesi si erano nascosti nella foresta, senza ripari, attenti a non farsi scoprire dai birmani o dalla border patrol, la guardia di frontiera tailandese che perlustra l’indefinito confine tra i due Paesi. “Popoli” aveva fornito loro teli di plastica per costruirsi dei rifugi di fortuna, stuoie, zanzariere, riso, olio e sale, coperte per le rigide temperature invernali.
Poi, lo scorso febbraio, la lunga marcia dei corpi franchi di Nerdah Mya, che dalla collina di No La Kyo erano arrivati fin qui rioccupando una parte del territorio conteso aveva dato nuova speranza ai profughi.
La notizia che i volontari delle Special Black Forces erano intenzionati a riprendere il controllo del distretto aveva fatto uscire dalla foresta alcuni degli sfollati, per chiedere la protezione dei guerriglieri Karen. Il colonnello Nerdah Mya aveva subito organizzato la difesa di una vasta area attorno a ciò che restava del villaggio di Oo Kro Khee, pochi pali anneriti dall’incendio appiccato dai partigiani del DKBA che aveva distrutto tutte le abitazioni. Un bulldozer era stato fatto arrivare dalla cittadina tailandese di Umphang, e in pochi giorni si era provveduto a bonificare il terreno dalle numerose mine antiuomo lasciate dai nemici per impedire che i civili potessero tornare.
Ce ne eravamo andati in marzo, con la promessa di Nerdah che in poche settimane almeno 12 abitazioni sarebbero state costruite per accogliere alcune delle famiglie bisognose di alloggio. I fondi erano stati messi a disposizione a tempo di record da Cinzia e Claudio, generosi amici di Riva del Garda che avevano già preso parte a diverse missioni organizzate da “Popoli” e da “Uomo Libero”, rimasti impressionati fin dal loro primo viaggio dall’indole dei Karen e dalle sofferenze che questa gente sa sopportare con dignità.
Siamo tornati in questi giorni, e quello che abbiamo trovato ci ha riempiti di soddisfazione e di ottimismo. Non 12, ma ben 33 abitazioni costruite in meno di due mesi: i Karen hanno preferito accontentarsi di case più spartane, per consentire così ad un maggior numero di famiglie di ottenere una sistemazione dignitosa. Una scelta che denota lo spiccato spirito comunitario del popolo Karen. Attorno al villaggio, ettari ed ettari di terreno sono stati bonificati e lavorati per coltivare granturco, verdure, arachidi. Prodotti che consentiranno a breve ai profughi interni di essere quasi autosufficienti dal punto di vista dell’alimentazione. La dieta è povera, è vero, e andrà integrata con un supporto di ferro e vitamine, ma almeno l’emergenza è superata. Al centro del villaggio, in una spianata attorniata dai banani, un grande edificio dalle pareti in bambù intrecciato ospita la clinica “Carlo Terracciano”.
Una folla di civili, in gran parte donne e bambini, si raduna all’interno della struttura. Il sole picchia sempre più forte. Il lavoro inizia.
Carlo, pediatra, e Monica, infermiera, sono alla loro prima esperienza di volontariato in un paese in guerra. Non negano di essere rimasti piuttosto impressionati dall’impatto con uno scenario inusuale: attraversato l’invisibile confine tra la Thailandia e la Birmania a bordo di un fuoristrada, sono stati infatti presi in custodia da giovani guerriglieri armati di fucili d’assalto e bombe a mano, e accompagnati all’interno del campo fortificato delle Special Black Forces. Una precauzione dovuta alla vicinanza delle postazioni dell’esercito birmano e dei partigiani collaborazionisti. Adesso, dopo poche ore, sono invece circondati dai bambini di Oo Kro Khee, mentre i guerriglieri si sono disposti attorno al villaggio, per sorvegliare le vie di accesso e scongiurare eventuali attacchi da parte di forze ostili. La sera prima, una fonte attendibile ha segnalato l’.avvicinamento alla zona di ingenti truppe birmane. Cinzia e Claudio (i “benefattori” di Oo Kro Khee) iniziano a pesare e a misurare i piccoli pazienti, compilando per ciascuno di essi una scheda di anamnesi con l’aiuto dei paramedici Karen di “Popoli”. Quando la scheda è completa affidano il bambino alle cure di Carlo e Monica. Così per l’intera giornata, senza sosta.
“Siamo felici di vivere di nuovo in un vero villaggio” – dice una donna che ha raccontato di aver visto i birmani violentare e tagliare il seno ad una sua amica – “Spero soltanto di non dover scappare ancora una volta. Vi ringraziamo per quello che fate per noi e per i nostri figli”.
Fatte le case, distribuite le pentole per cucinare, ricostruita la clinica e iniziato il lavoro dei campi, non resta che pensare all’istruzione. Molti bambini infatti non sono qui con i loro genitori perché sono stati mandati nei campi profughi tailandesi per poter frequentare delle scuole. “Popoli”propone a Nerdah di costruire al più presto un nuovo edificio, visto che a giugno normalmente iniziano le lezioni. Nel villaggio abita una maestra. La contattiamo. La assumiamo. Le facciamo cercare un collega che la affianchi. Informiamo infine i genitori che tra venti giorni i loro bambini che ora si trovano lontani potranno frequentare la scuola proprio qui, nel villaggio. Altre famiglie potranno così riunirsi. Cinzia e Claudio, manco a dirsi, intervengono affiancando “Popoli” nel sostegno economico diretto alla costruzione della scuola.
Tutto, per il momento, sembra andare per il meglio.
Questa parte del distretto di Dooplaya, data per persa solo un anno e mezzo fa, riprende a vivere. Uno schiaffo per i generali di Rangoon e per gli sporchi affaristi che credevano di potersi arricchire sulla pelle di queste famiglie. Ora dobbiamo far nascere nuovi villaggi, perché ancora tanta gente attende di rientrare nella propria patria. Perché è la strada giusta. Perché i Karen lo meritano. Perché soltanto così si vince.

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