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Riots and aids

L'Inghilterra brucia sul rogo della società utopica

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L’Inghilterra a ferro e fuoco.
Tre bambine sono state sgozzate da un demente naturalizzato dal Ruanda e altre sono in lotta per la vita o la morte.
Ormai da tempo in alcuni quartieri delle grandi città britanniche vige di fatto la Sharia
, ossia la legge islamica, e questo non favorisce di certo la coesistenza pacifica.
Il proletariato inglese è esploso di rabbia e d’indignazione.

Ne è susseguita una contromobilitazione armata che ha reso l’idea di una guerra civile etnoreligiosa.
Le autorità sono intervenute con il pugno duro nei confronti dei bianchi e con la mano di velluto verso i colored.
Come andrà a finire?

Iniziamo con l’identificare il problema come si è creato nel tempo.
Le immigrazioni extraeuropee partono dalla decolonizzazione. La natura ha orrore del vuoto: le dinamiche quando non vanno in una direzione, vanno nell’altra.
Non è razzismo affermare quello che gli stessi africani ripetono da tempo, ovvero che la partenza troppo rapida degli europei ha scombussolato le società e le economie delle nazioni create lì per lì.

Erano gli anni del boom economico in Europa, i lavori ingrati erano sempre più rifiutati, quindi accogliere mano d’opera a basso costo conveniva al capitalismo. Peraltro, visto che una certa colonizzazione politico-finanziaria non ufficiale si manteneva in piedi, l’accoglienza di migranti in Europa aiutava i governi africani a ridurre la pressione sociale. Londra con la Sterlina e Parigi con il Franco Africano che spadroneggiavano nelle ex colonie avevano tutto l’interesse a che ciò si realizzasse.

Oltre mezzo secolo dopo tutto questo ha assunto ben altri aspetti.
L’immigrazione si compone sia d’immigrati di terza generazione che di nuovi.
E non è finita: quelli di terza generazione sono integrati oppure antagonisti irriducibili.

Bisogna decidere cosa voglia dire essere integrati perché come tali si possono considerare il sindaco di Londra Sadiq Khan e l’ex premier Sunak, come in Usa gli Obama o Kamala Harris.

Integrati a quale cultura specifica è la domanda senza soluzione, perché il dibattito ufficiale sull’identità francese posto a suo tempo pubblicamente da Sarkozy non è riuscito a darne nessuna; et pour cause!

Aveva ragione Geminello Alvi: si è sviluppato un multirazzismo uniculturale senza radici.

Nelle banlieues, che sono sacche di disagio sociale e criminale protetto e coccolato, l’antagonismo è una forma di opposizione di classe e di razza che spesso trova la bandiera in uno jihadismo fai da te.

I nuovi immigrati devono adattarsi a quello che c’è; se qui ritrovano la Sharia concessa dalle autorità per una prospettiva comunitarista sono obbligati ad assumere la sordida miscela di antagonismo e vittimismo nei riguardi dei bianchi.

C’è un grave problema demografico.
Le società opulente, con eccezione della statunitense, vanno in declino. Tra quelle avvitate su se stesse spiccano Italia, Giappone, Russia, benché, ad eccezione dei nipponici, nel computo attivo si considerino anche gli immigrati.

La società di consulenza manageriale per eccellenza, Mc Kinsey, lo scorso febbraio, oltre a proporre l’incentivazione per un migliore utilizzo degli immigrati in Europa ha identificato una carenza di manodopera di oltre 6 milioni di occupati.

Il direttore della Banca d’Italia, Panetta, sostiene che in Italia, ammettendo 170 mila nuovi migranti all’anno, con l’attuale indice demografico tra sedici anni mancheranno cinque milioni e mezzo di abitanti in età lavorativa e prevede un crollo del pil del 13%.

Va ricordato che nella UE il saldo annuo tra entrate e uscite di extraeuropei è di un milione e trecentomila all’anno.

Per l’industria, l’agricoltura, l’esercito e una serie di indotti queste sono le richieste.

Il Giappone stesso sta aprendo ai migranti e la Cina, accortasi di avere sbagliato il conto dei propri cittadini in eccesso di oltre cento milioni, vuol correre rapidamente ai ripari.

Non c’è quindi soluzione?
Sicuramente si può intervenire: con il cervello.

Sviluppando al massimo la robotica e l’AI, senza frignare troppo sul fatto che toglieranno lavoro visto che ce lo togliamo da soli; semmai ridurranno la necessità di ricambio.

Mutando immaginario e prospettiva, dobbiamo favorire la demografia e attuare una geopolitica eurafricana che può modificare i flussi trasformandoci da speculatori passivi in nuovi investitori attivi, peraltro attratti dalle risorse minerarie per l’economia e la tecnologia del futuro.

Tuttavia questa scelta deve avvenire tra un minuto per portare frutti tra due generazioni. C’è un adesso drammatico da gestire.

Il problema è l’aids.
L’aids mentale, spirituale e culturale, inteso come sindrome da immunodeficienza è quanto attanaglia la società plasmatasi dopo il ’68 sul modello della Scuola di Francoforte
.

Non ha molto senso cercare il responsabile dell’immigrazione selvaggia. È un intero sistema che si compone di speculatori sulla pelle dei migranti (sia le associazioni che ci campano economicamente su che i politici bipartisan che li sfruttano elettoralmente), e di interessi geopolitici. Il Cremlino che vuole imporci – parole ripetute più volte – la punizione per il colonialismo e insegnarci a vivere nel paradiso della miscela etnoculturale, è attivo in quest’impresa. Ha depenalizzato in Niger il traffico di uomini allo scopo annunciato e realizzato di aumentare la spinta subsahariana e in Libia fa di tutto per impedire che si realizzino accordi per calmierare il fenomeno. Poi c’è l’Open Society di Soros, quindi le varie chiese. Ankara persegue un neocolonialismo ottomano che si staglia sullo sfondo di altre manovre wahhabbite.

Non c’è un responsabile: è un sistema, anche ideologico e mentale, che possiamo definire come quello dell’Onu e dell’utopia mondialista.

Le classi dirigenti sono passive?
Più che altro sono inadeguate e si muovono incerte. Negli ultimi cinque anni tutta la narrazione sull’immigrazione in Europa è cambiata non di centottanta gradi ma comunque di più di novanta.

Dall’accoglienza di risorse si è passati alla necessità proclamata di filtrarle, gestirle, calmierarle.
Il sostegno della UE alle scelte italiane di regolamentazione in Tunisia e deportazione in Albania non sarebbe stata immaginabile solo pochi mesi orsono.

Le classi dirigenti oscillano, prese non tra due ma tre fuochi.
La necessità di supplire alle carenze di mano d’opera e quindi alle richieste del capitale; la guerra civile a singhiozzo (ma non più strisciante) con conseguente insoddisfazione popolare crescente; la detenzione dei mezzi di comunicazione da parte dei sacerdoti dell’aids con in aggiunta l’occupazione leninistica dei social da parte di agit-prop commissari dell’immunodeficienza.

Come possono i governanti tenere in mano il timone in questa tempesta?

È fuori di dubbio che non ci potrà essere alcuna soluzione rapida e decisiva di un fenomeno complesso, connesso e radicato.
In alcune metropoli europee si vivono oggi quegli scontri socio-razziali che infiammarono gli Usa proprio quando da noi l’immigrazione iniziava a farsi timidamente strada. Conosciamo il risultato americano: nessuno può cancellare l’altro.

Il problema va risolto con intelligenza e strategia, con lungimiranza, ma soprattutto, con una centratura in cui il dovere, il legami e l’identità siano saldamente presenti.

La scelta del governo britannico di colpire il più debole, ovvero il proletariato bianco, con condanne pesanti, alleggerendo la pressione sull’altra parte, fino a liberare stupratori di minori, non è solo delinquenziale e vigliacco: è idiota.

C’è stato perfino un deputato laburista che ha osato sostenere che si dovrebbe tagliare la testa a chi critica i migranti. Siamo alla demenza. E, purtroppo, è una demenza non isolata.

Se ne uscirà se lo si vorrà. Se ne uscirà con intelligenza e programmazione, ma soprattutto con fermezza.

Ricordandoci sempre che “il primo nemico sei tu”, e se per quel tu intendiamo i nostri popoli, il nostro nemico sono gli woke, quelli che va tutto bene, anche che si sgozzino bambine, pur di colpire il “patriarcato”, il “fascismo”, e qualsiasi forma aliena dal Caos: haters del padre che accusano gli altri di odiare.

Essi sono un agente patogeno e servono anticorpi. Perché finché avranno capacità d’infezione nessuna soluzione si potrà apportare a nulla.

Ma prima di tutto bisogna vedere se siamo in grado di produrli gli anticorpi necessari.

Perché chiunque parta da un presupposto isterico per il quale si deve distruggere tutto quanto è qui, altrimenti non si può far nulla, chiunque scodinzoli dietro Hamas o il Cremlino e sia ossessionato dalla UE non è altro che l’ombra inversa degli haters woke e non si sta attivando verso nulla di positivo.

“Il primo nemico sei tu”: vediamo quanto di noi è quindi nemico e iniziamo a curarlo.

Il resto è tifo o atteggiamento da guardoni.

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