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San Babila per sempre

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Quel legame più che politico nel romanzo di Maurizio Murelli

Indian Summer 70 

Non è facile scrivere la recensione a questo libro di Maurizio Murelli sui ragazzi di San Babila. Non lo è, per un motivo “geografico”: soprattutto per chi viene dalla “piazza romana “ immedesimarsi nell’atmosfera e nelle particolarità meneghine è cosa ostica, ma in questo sta il primo merito di questo romanzo.
Sta proprio nel raccontare una realt
à che non è condizionata dal “romanocentrismo” che ha pesantemente condizionato tutta la storia e la narrativa dell’ambiente degli anni settanta e che ha soffocato un racconto comunitario che si è dipanato in tante piazze d’ Italia , con storie mai del tutto raccontate, perché l’ambiente scenografico principale è sempre stata Roma.
Il secondo merito è di averci finalmente raccontato l’”oggetto misterioso “ San Babila, quel mondo troppo spesso frainteso, anche da chi era dell’ambiente, che ha visto intrecciarsi vite, storie, di ragazzi cresciuti in un fortino assediato, in una Milano, frutto dell’inurbamento e dell’industrializzazione degli anni sessanta, completamente in mano ai “rossi”, dal punto di vista politico e culturale, che relegava i “fascisti” a veri e propri paria della societ
à. Da distruggere in ogni modo, legale ed illegale.
Dei ragazzi che
, come ben descrive Murelli nel suo romanzo, hanno il mondo intero contro, ma che reagiscono con fierezza e goliardia a un tritacarne mediatico e giudiziario che in un breve lasso di tempo, dal 1969 al 1974, li spazzerà via a suon di morti e galera.

Una storia, quella di San Babila, troppo spesso confusa con l’aspetto “modaiolo “ del posto o con le sue derive paramalavitose, per non parlare del famigerato film di Lizzani “San Babila ore 20 “, citato giustamente con disgusto nel libro, come vera e propria deformazione della realtà sanbabilina ad uso e consumo della sinistra in cerca di “mostri” da sbattere in prima pagina.
I personaggi di
Indian Summer 70, che come da titolo vivranno una vera e propria nuova giovinezza sulla soglia dei sessant’anni, non sono e non si sentono “vite maledette” ma recepiscono, ognuno a suo modo, l’insegnamento impersonale evoliano, di “fare quel che va fatto”, senza alcun rimpianto né, peggio, evocazioni autocelebrative, sempre in agguato quando si rievocano esperienze forti vissute in età giovanile.

Ed allora ecco dipanarsi, nel racconto, i contorni di persone unite da un forte vincolo di cameratismo che hanno combattuto e continuano a combattere insieme anche nel presente, perché il vincolo che li lega è più forte di ogni condizionamento operato “dal mondo” o dalle mutate circostanze sociali e politiche su loro Essere. E’ una visione della vita che li tiene assieme, assieme anche a quei ragazzi morti, magari su una linea del fronte non immediatamente percepibile seguendo logiche borghesi, ma perfettamente comprensibile se si va oltre le apparenze .

Ed ecco, che magicamente gli avvenimenti della San Babila dei primi anni settanta, le risse, i pestaggi subiti e praticati, le sparatorie con i compagni e gli scontri del 1973 con la polizia, gli arresti, si intrecciano con la vita di oggi dei protagonisti che hanno ancora un habitus mentale, una “scimmia sulla spalla” come dice Murelli nel romanzo, che ogni tanto bussa forte e fa superare ancora una volta, quarant’anni dopo, gli schemi di una comoda vita borghese. Poi lo stato di necessità irrompe, fare quel che va fatto.. ancora una volta. 

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