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Come prendere male una decisione giusta e renderla sbagliata

   Il Tar del Lazio ha stabilito, male, una cosa giusta, il che equivale a determinare qualcosa di sbagliato.

Non fa una piega che “la frequenza dell’ora di religione non debba concorrere all’attribuzione del credito scolastico per gli esami di maturità”. Prima del neo-confessionalismo del Nouvel Ancien Régime le cose stavano di fatto così; nelle scuole pubbliche quello della religione è stato per decenni un insegnamento facoltativo ed è corretto comportarsi coerentemente di conseguenza. Ma è da brividi sostenere che “lo Stato non può conferire ad una determinata religione una posizione dominante, violando il pluralismo ideologico e religioso”. La stessa Costituzione in vigore riconosce al Cattolicesimo di “essere la religione della maggioranza degli italiani” e, quindi, gli conferisce una “posizione dominante” che di fatto ha.

Che il ritorno di fiamma delle dogmatiche intolleranze clericali rappresenti un fenomeno da non sottovalutare non ci deve trarre in inganno. Perché altro è controbatterle per rinverdire tutte le tradizioni di un popolo e, quindi, anche quelle non clericali, quelle anticlericali, quelle “eretiche” e soprattutto le radici plurimillennarie ed eterne su cui la stessa Chiesa ha provato a innestarsi per poi insistere a negarle, altro è proporre il mosaico etnico, il mercato del folklore. Non è un caso se sono altri organismi clericali (valdesi, luterani, ebraici) a brindare. Il tutto rientra nella logica di concorrenza intavolata tra le varie oligarchie teologiche per la lottizzazione della gestione delle anime nel Nouvel Ancien Régime, globale e mondialista.

Ed è nella logica della marmellata mondialista, in quello dell’indifferenziazione, che si muove l’altro clero, quello che si definisce “laico” ma che in realtà è internazionalista e comunista.

In una logica da marmellata, quindi, si è espressa la sentenza del Tar. Se avesse motivato la sua decisione con la necessità di garantire tutta la ricchezza del pensiero della nostra storia avrebbe comportato ben altro risultato. L’impressione invece è che i suoi concorrenti diretti provino a togliere alla Chiesa il monopolio che gode sull’immigrazione. Non in nome di meno immigrazione o di un’altra immigrazione, ma sempre nel segno della lobotomizzazione e dell’uniformazione delle plebi: nell’indifferenziato. E, pertanto, nella rimozione di ogni cosa che ci faccia italiani ed europei. La sentenza è sbagliata perché anziché esprimere un più, culturale, spirituale e didattico, impone un meno: la “globalizzazione” utopica che detesta ogni radice.

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