Magagne
La spesa per i libri scolastici continua ad aumentare. Anche se il ministero dell’Istruzione ha congelato il costo massimo della dotazione libraria da oltre 10 anni. Ma quello dei tetti di spesa è solo uno dei tanti interventi di questi anni per tentare, senza successo, di dare una spallata al caro-libri: testi gratis o in comodato d’uso, inviti a un aggiornamento moderato delle edizioni e delle “adozioni” da parte dei docenti, spinta verso la digitalizzazione e l’autoproduzione dei contenuti.
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I costi infatti, continuano, a lievitare: secondo un’analisi Federconsumatori, per il back to school 2024 la spesa stimata per i libri di testo (più eventualmente dizionari) sarà di 591,44 euro, in aumento del +18% rispetto a dodici mesi fa. Così come la foliazione: in prima media dalle 3.000 alle 5.000 pagine complessive, quasi il doppio di quanto fanno in Francia o Spagna. A questo punto anche l’Antitrust ha deciso di vederci chiaro e di aprire un’istruttoria.
Caro-libri, perché le contromosse non funzionano? La parola all’esperto
Perché, puntualmente, ogni fine estate la questione si ripresenta con le medesime dinamiche? E cosa si potrebbe fare per uscire dallo stallo? Il portale Skuola.net, per aiutare le famiglie a capirne di più, ha interpellato Maria Pia Bucchioni, ex dirigente del ministero dell’Istruzione ed esperta in materia.
Ogni volta che si affronta il tema caro-libri entrano in gioco i cosiddetti tetti di spesa. Che cosa sono e perché rappresentano un problema?
“I tetti di spesa, ovvero una somma massima fissata a livello ministeriale per l’acquisto dei libri di testo, differente a seconda del grado e dell’indirizzo scolastico, sono stati fissati per la prima volta nel 2002. Ma l’ultimo aggiornamento risale al lontano 2012. Da allora sono aumentati i costi di produzione, incluso quello della carta, e l’inflazione ha superato il 45%. Mentre il tetto, rispetto a quello iniziale, è aumentato solo del 5,7%”.
In termini pratici, questo disallineamento come si traduce?
“Basta dire che, tabelle alla mano, tutti i libri della scuola secondaria di primo grado, dalla prima alla terza media, nel 2024 non dovrebbero costare più di 543 euro, solo 31 euro in più rispetto ai 512 complessivi indicati del 2002. Ma sappiamo che la realtà è ben diversa. Per fare un altro esempio, il tetto per i libri di testo del primo anno del liceo classico sarebbe di 335 euro, solo 18 euro di più rispetto ai 317 del 2002. Ma il costo reale sul mercato, di nuovo, è aumentato in modo ben più consistente”.
Come si organizzano le scuole per restare all’interno dei limiti?
“Va detto che per i docenti non è semplice rispettare i tetti di spesa. Ecco perché viene tollerato uno sforamento del 10%. Inoltre, in molti casi si ricorre allo stratagemma di indicare come ‘consigliati’ testi che però, di fatto, è quasi sempre obbligatorio acquistare”.
Ci sono però le scontistiche, applicate soprattutto dalla grande distribuzione e dai siti web specializzati, che consentono alle famiglie di risparmiare un po’. Non è così?
“Ciò è vero solo in parte. Fino al 2019, infatti, i ribassi potevano arrivare fino al 25% di sconto. Ma poi, per rispondere alle, pur legittime, istanze di librai, la Legge 27 luglio 2011, n. 128, modificata nel 2020 ha vietato alle grandi catene di supermercati e alle piattaforme digitali di poter fare sconti sui libri scolastici superiori al 15% del prezzo di copertina, anche sotto forma di buoni spesa”.
C’è poi la questione dei fondi ministeriali, che dovrebbe consentire alle famiglie meno abbienti di avere i libri gratis ma che puntualmente risultano poco efficaci. Perché?
“Per comprendere quanto sia assurda la situazione attuale, occorre risalire alla storia della fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo agli alunni appartenenti alle famiglie meno abbienti. Una legge del 1998 prevedeva che nell’a.s. 1999-2000 i Comuni dovessero garantire la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo agli alunni della scuola dell’obbligo – allora comprendente, oltre ai 5 anni della scuola elementare, i 3 anni della scuola media – e assicurare la fornitura in comodato agli studenti delle scuole secondarie superiori. A questo scopo, furono stanziati 200 miliardi di lire (circa 103,3 milioni di euro).
Nel 2006 la gratuità totale e parziale fu poi estesa agli studenti del primo e del secondo anno dell’istruzione secondaria superiore, ma la cifra stanziata rimase la stessa, così come rimase identico al 1999 (15.493,71 euro) il reddito annuale massimo del nucleo familiare, necessario per l’accesso al beneficio. Solo dopo 22 anni, nel 2021, il governo Draghi ha aumentato a 133 milioni di euro lo stanziamento statale, che però è rimasto tale nel 2022, nel 2023 e, secondo quanto indicato nell’ultima finanziaria, non cambierà fino al 2026. Basta farsi due conti per capire che è una cifra assolutamente insufficiente”.
Facciamoli questi conti…
“Dal 1998 vengono forniti i libri di testo in modo totalmente gratuito a tutti gli alunni della scuola primaria, inclusi quelli appartenenti a famiglie ad alto reddito. Nel 2024 hanno fruito di tale fornitura 2.219.151 alunni. Calcolando un costo medio annuale di 39 euro, la spesa complessiva ammonta a circa 85 milioni di euro. Che, detratti dai 133 milioni stanziati, portano a un residuo di 48 milioni, con i quali è ovviamente impossibile dare risposte a coloro che frequentano le scuole medie e superiori e provengono da famiglie a basso reddito. Cosicché, dei 4.152.491 mila studenti di scuola media e superiore, solo 589.196 appartenenti a famiglie con un reddito inferiore a 15.493,71 euro, hanno ricevuto un sussidio”.
Ma come vengono distribuiti questi sussidi? Non c’è modo per migliorare il sistema?
“Teoricamente sì, ma molto dipende dalle singole realtà locali. Le risorse per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico vengono assegnate dal MIM alle Regioni, che poi le erogano agli interessati tramite i Comuni. Le Regioni possono integrano i fondi statali con risorse proprie, aprendo a grandi discrepanze tra un territorio e l’altro. Così come sono differenti, per importi e requisiti, le regole di accesso ai voucher”.
Alcuni esempi?
“Per esempio, la regione Piemonte elargisce un contributo che va da 160 a 500 euro a coloro che hanno un ISEE non superiore ai 26.000 euro, la Calabria corrisponde un voucher di 200 euro a coloro che hanno un ISEE inferiore a 6.000 euro. Ovvio che il tutto si traduce in disuguaglianze gravi nella fruizione del diritto allo studio da parte degli studenti. Peraltro, in molte regioni si registrano gravi ritardi nell’erogazione e i Comuni, attraverso l’ANCI, hanno più volte segnalato l’insufficienza dei fondi loro assegnati e la necessità di aumentare lo stanziamento”.
Un altro aspetto che, si dice, contribuisca a rendere “pesante” il sistema è il fenomeno delle costanti pubblicazioni di nuove edizioni e dall’aumento delle pagine dei libri. È così?
“Assolutamente sì. Buona parte delle case editrici ogni anno cambiano codici ISBN, aggiungendo o togliendo immagini, modificando la prefazione, qualche riga di testo, il numero di pagine o gli esercizi applicativi, pur mantenendo pressoché invariato il contenuto. Non a caso, qualche giorno fa il Codacons ha annunciato di aver avviato una denuncia in Procura per “truffa”, accompagnata dalla richiesta di sequestro di tutti i libri scolastici presentati come “nuovi”, al fine di verificare se all’interno del testo presentato come ‘nuova edizione’ vi sia un aggiornamento scientifico e/o didattico ovvero cambiamenti superiori alla soglia del 20 per cento rispetto alla ‘vecchia’ edizione, così come disciplinato dal Codice di Autoregolamentazione del Settore Editoriale Educativo.
Per quanto riguarda, in particolare, l’ipertrofia dei libri, soprattutto nelle scuole secondarie di I e II grado, basti pensare che in prima media abbiamo un numero di pagine complessive che va da 4.300 a 5.000, superando del 200% quanto viene prodotto in Francia e in Spagna per il medesimo anno scolastico. Purtroppo, è un meccanismo che risponde alla necessità degli editori di far adottare i libri dal maggior numero di docenti possibile, inserendo nel testo tutte le informazioni che il docente ‘x’ desidera comunicare ai suoi allievi. Per esempio, in un’antologia vengono inseriti i brani di tutti gli autori, in modo che chiunque possa ritrovare quelli che predilige. È evidente che questo modo di agire, oltre a far crescere il costo e il peso dei libri”.
Attorno al 2010 si parlò di eliminare l’obbligo di adottare libri “ufficiali”, fornendo ai docenti linee guida per realizzare contenuti autoprodotti, riducendo altresì i tetti di spesa in caso di adozione di libri in versione digitale. Come è andata a finire?
“Un decreto ministeriale del 2013, effettivamente, precisava che il tetto di spesa doveva essere ridotto del 10% se i testi adottati avessero avuto sia la versione cartacea che quella digitale e del 30% se fossero stati pubblicati solo in versione digitale. In realtà, anche oggi, se i genitori vogliono acquistare solo la versione digitale dei libri hanno uno sconto che può arrivare al 30%, ma si trovano ad affrontare difficoltà enormi (soprattutto se non hanno altissime competenze informatiche), dovendo verificare la compatibilità con la versione cartacea utilizzata dal docente.
Per quanto riguarda, invece, la questione dei libri “autoprodotti”, lo vedo come uno scenario di difficile realizzazione. Produrre questi testi esige il coinvolgimento e l’impegno pluriennale dei docenti, che ricevono un incentivo ma non una remunerazione adeguata. Credo che in questo dato di fatto vada ricercata la motivazione dell’adesione piuttosto modesta, cui si aggiunge il continuo turn over sulle cattedre, dovuto all’enorme numero dei precari”.
Alla luce di tutte queste criticità, cosa si dovrebbe fare per ridurre finalmente la spesa per i libri scolastici, sia per le famiglie che per lo Stato?
“Il problema va affrontato in modo sistemico. Le azioni da mettere in campo potrebbero essere molte. Come estendere alla primaria il meccanismo che collega la gratuità al reddito familiare, realizzando risparmi da investire nei successivi ordini di scuole. Oppure innalzare l’attuale soglia ISEE che dà diritto al contributo per le spese scolastiche, alla luce dei dati Istat sulla povertà assoluta e relativa delle famiglie. O, ancora: prevedere la detraibilità fiscale del costo dei libri e degli altri materiali scolastici, con incidenza percentuale parametrata al reddito; sostenere e diffondere, in collaborazione con Regioni e Comuni, il comodato d’uso dei libri di testo e l’arricchimento delle biblioteche scolastiche; stabilire criteri condivisi con le regioni, affinché il diritto all’istruzione non sia condizionato dal territorio di residenza, magari dotando le amministrazioni di un sistema informatizzato che faciliti i passaggi e riduca i tempi di attesa delle famiglie.
Sul fronte insegnanti, invece, si potrebbe sensibilizzare il personale docente e dirigente delle scuole affinché siano messe in pratica azioni di riuso, condivisione e passaggio dei testi tra le classi successive; adottando, laddove possibile, testi comuni per le diverse sezioni e creando al proprio interno biblioteche solidali che mettano a disposizione gratuitamente i libri ed il corredo scolastico per le famiglie in difficoltà. Nonché formare e incentivare gli insegnanti alla auto-produzione di materiali didattici digitali.
Infine, per quanto riguarda gli editori, si potrebbe regolamentare la produzione di libri di testo, affinché siano: annuali e non più triennali o quinquennali (con evidenti vantaggi per quanto riguarda sia il riuso che il peso); validi almeno per tre anni, impedendo i finti “aggiornamenti”. Una maggiore “longevità” dei libri di testo, eventualmente integrando i contenuti necessari attraverso fascicoli di aggiornamento anziché attraverso un’intera ristampa, garantirebbe un forte risparmio non soltanto per le famiglie, ma anche in termini di impronta ecologica, diminuendo i consumi di carta ma anche l’utilizzo di inchiostri e altri materiali a elevato impatto ambientale”.