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La Molisana non si mangia più. Vincono le multinazionali e la globalizzazione della povertà

La proposta di Maione prevede un contratto di fitto di dieci anni (1,4
milioni di euro annuali pagati ex post), con il diritto di rilevare
l’azienda per complessivi 24 milioni. Per quanto si parli di un concordato
preventivo, nelle carte ufficiali appare solamente un diritto di prelazione,
delineando un leasing piuttosto che una compravendita. In questo contesto,
fanno notare i lavoratori, Maione non avrebbe nessun incentivo ad evitare il
fallimento, visto che in un’eventuale asta fallimentare avrebbe, come
affittuario, un canale preferenziale, spendendo quindi molto meno di 24
milioni di euro. Entro fine aprile Colussi fa pervenire altre due proposte
di acquisto, venendo ufficialmente diffidato dai proprietari della Molisana
«dal tenere comportamenti destabilizzanti delle strategie imprenditoriali
dell’azienda». Seguono interpellanze parlamentari (di Violante e Castagnetti
fra gli altri) ed una ulteriore seduta della task force (il 3 maggio), a
margine della quale Borghini ribadisce che «esiste una sola proposta
perfezionata», confermando la necessità di accelerare il concordato
preventivo in vista della discussione dell’istanza di fallimento. Colussi
esprime «sconcerto» per il comportamento di Borghini e invia una lettera al
giudice fallimentare, ribadendo il proprio interessamento. L’istanza si apre
il 5 maggio e si chiude l’11 con la sentenza di cui sopra, la quale «se non
altro – dice un lavoratore – farà ripartire tutto da zero». Petraroia ci
lascia con un ultima frase: «Come sono andate le cose, i 200 operai hanno la
cassa integrazione. Se avessero firmato l’accordo e l’azienda fosse fallita,
i 98 “fortunati” rimasti non avrebbero avuto nemmeno quella». Dignità e
pensosa serenità.

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