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Squarciando le sbarre

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Carlo Parlanti, sequestrato dagli americani, è riuscito a parlare telefonicamente al tg1

     La giustizia negli Stati uniti è “terrorizzante”, perché “una volta che il dito della polizia è puntato su di te, tu sei colpevole”. E’ la testimonianza di Carlo Parlanti, un italiano che sta scontando al di là dell’Atlantico una condanna a nove anni di carcere per violenza sessuale e sequestro di persona. Il Tg1 lo ha intervistato al telefono, dal penitenziario di Avenal, in California, dove è recluso. “Sono in una struttura – racconta Parlanti – che era disegnata per ospitare 2mila persone, invece siamo in 7mila. Sono in un capannone con più di 300 detenuti. Si passa la giornata a fare niente, ci si gira i pollici”. Parlanti si è sempre dichiarato innocente e se dovesse ottenere la revisione del processo e dimostrare le proprie ragioni, spiega, “non rimarrei negli Stati uniti. Qui è terrorizzante il fenomeno giudiziario. Una volta che il dito della polizia è puntato su di te tu sei colpevole”. Parlanti uscirà dal carcere nel 2012 ma, dice, in ogni caso non avrà un futuro: “Se non riesco ad avere giustizia il mio futuro verrà seppellito qua in questo deserto”. La sua vicenda è iniziata nel luglio 2004, quando è stato arrestato dalle autorità tedesche all’aeroporto di Dusseldorf, appena dopo il controllo dei documenti. E’ stato allora che Parlanti ha ‘scoperto’ una denuncia a suo carico per violenza sessuale e sequestro di persona, sporta dalla sua ex convivente statunitense due anni prima, nel luglio 2002. Rebecca McKay White lo aveva accusato di stupro e di averla tenuta segregata in casa. L’estradizione però era stata richiesta solo alla Germania. Nè l’Italia, nè l’Irlanda, dove Parlanti in quel periodo lavorava, gli avevano notificato nulla. Arrestato a Dusseldorf è stato poi estradato negli Stati uniti dove è stato condannato a nove anni. Si tratta di un evidente caso di ingiustizia, secondo la madre di Parlanti, Nadia Pacini, che a novembre ha inviato anche una lettera al ministro degli Esteri, Franco Frattini, per chiedere un suo intervento. Sono diverse infatti, sottolinea, le incongruenze. La presunta vittima, racconta Pacini, presentandosi alla polizia aveva in un primo tempo affermato di essere stata violentata il 6 luglio 2002. Ma di fronte alla mancanza di lividi che comprovassero la violenza, aveva cambiato versione, anticipando i fatti al 29 giugno. Non solo, ma aveva portato delle foto per provare la presunta violenza che sono risultate poi false da una perizia. La White aveva poi presentato anche un proprio diario nel quale affermava di aver scritto, come sfogo personale, della violenza, nei giorni subito successivi. Ma quel diario, su cui lei afferma di aver scritto nel luglio 2002, era entrato in commercio solo nel 2003. Insomma, per la famiglia, a inchiodare Parlanti è stato un castello accusatorio del tutto infondato.

Va aggiunto che la stessa Rebecca McKay White aveva mosso le medesime accuse contro il suo primo marito, americano, ma che queste erano state rigettate per la totale inaffidabilità dell’accusatrice. Per completare il quadro si consideri che, in quanto “vittima di violenza” la tizia gode di un vitalizio da parte delle istituzioni americane.

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