La casta dei magistrati non vuole perdere una briciola del suo potere. E sciopera
Il ddl, che ha già ottenuto un primo via libera dal Senato, contiene le norme per “la riforma dell’ordinamento giudiziario, il decentramento del ministero della Giustizia, la modifica della disciplina di accesso alle funzioni presso organi di giurisdizione superiore amministrativa, la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché l’emanazione di un testo unico”.
La nuova norma quadro non è un granché. Annacquata da tutte le parti è stata resa digeribile in mesi e mesi di negoziati e compromessi sottobanco tra maggioranza parlamentare e di governo e opposizione “togata”.
Ma l’indipendenza e la sovranità del potere legislativo, del Parlamento, si sa, non è bene accetta dalla casta dei magistrati, arroccata da sempre nella difesa più strenua dei suoi privilegi di carriera e di remunerazione. E, con tanti saluti a Montesquieu, il “sindacato” dei giudici, l’Associazione nazionale magistrati presieduta da Edmondo Bruti Liberati, ha già dato fuoco alle polveri immaginando tre giorni di sciopero della lobby contro la legge che sta per essere emanata.
E dire che proprio per evitare tali eventualità, i costituenti del 1948, avevano ben distinto tra due poteri (esecutivo e legislativo) ed un “ordine” giudiziario: proprio per marcare le differenze di potere dei tre organi istituzionali a prescindere dalla propria indipendenza. La magistratura italiana dovrebbe essere ben consapevole dei poteri-doveri che derivano dal richiamato principio costituzionale, ma non è purtroppo provvista né di alcuna moderazione, né del necessario buonsenso, né di un pizzico di retta umiltà, quando qualcosa minaccia di turbare l’intaccabile dominio dell’ordine giudiziario.
Ma ormai non c’è più Stato né ordine sociale, in Italia. E la ragione della forza, dell’arroganza, sembra ovunque prevalere sulla forza della ragione.