Limiti e peccati originali di FdI
Se Giorgia Meloni fosse il leader di una Comunità, non tanto di Destino, quanto per lo meno cosciente di sè, della propria storia, dei propri riferimenti filosofici e spirituali, a quest’ora sarebbe il Sindaco di Roma in pectore. Senza dubbio alcuno. Il “cavalcare la tigre” del putridume politico avrebbe di certo avuto un senso. Il successo sarebbe, in questo caso, un mezzo e non il fine. Probabilmente il suo partito, adesso, starebbe al governo assieme a tutti gli altri per garantire al proprio specifico progetto la costruzione di adeguate classi dirigenti, reti, nodi economici, con una chiara idea dell’Italia e dell’Europa da qui a dieci anni.
Così non è. E per una vasta ragione di motivi. “Chi mi vuole sindaco vuole farmi fuori”, ha replicato seccata la Meloni qualche giorno fa. Ma la realtà è ben diversa: è più semplice, per chi non ha una propria volontà di potenza, aderire a quella altrui, adattando la propria narrazione ad un realismo impolitico, un finto realismo, fatto tutto di camuffata debolezza.
FdI non è Alleanza Nazionale. La storia dei Fratelli è la storia di una famiglia politica di mentalità provinciale operante, casualmente, nella Capitale. I riferimenti sono storicamente quelli del Ghetto, quelli di una Tradizione religiosa parentale, di un cattolicesimo debole poiché cugino minore del vasto Occidente delle radici giudaico-cristiane. Una famiglia teo-con capace di sostenere ogni aberrazione americana nel Vicino-Oriente dal 2000 in poi, ed ogni argomentazione anglofona, ammantata di liberalconservatorismo, in sede di scelte nazionali ed europee.
Dalla tragicomica caduta di Fini in avanti, sia dunque chiaro, non c’è stata alcuna Compagnia dell’Anello. Nessuno ha portato con disagio e sofferenza il fardello del potere per un fine ultimo più alto e dignitoso. La scalata al Monte Fato del gruppo Ecr, snodo anglosassone di Tories e Likud, è un vecchio percorso voluto, ragionato, programmato: una lunga marcia alla quale tante formazioni elettorali postfasciste si sono unite in tutta Europa negli anni in chiave antitedesca ed antifrancese. Anche in chiave anti-italiana?
La domanda è legittima. Legittima tanto quanto è oscura e controversa la questione metapolitica di questo ambiente che, pur di non sviluppare reti, classi dirigenti, modelli economici e sociali, anche e soprattutto in senso meritocratico, ha preferito autocastrarsi in due direzioni.
La prima: fingere che la metapolitica fosse solo “giornalettismo”. Che metapolitica fosse solo “quel gruppo spaccapalle di intellettuali senza voti”. Dunque un clero avversario interno, da abbattere. E non, come ha dimostrato il modello Bonino-Radicali a scopo sorosiano, una enorme opportunità di competenze manageriali verso il mondo reale.
La seconda: affidare il cartello elettorale a quei “portatori insani di voti” che, a differenza dei capibastone della vecchia An, saranno pronti all’italianissimo cambio di casacca non appena necessario. Esempio massimo fra questi, il para-qualcosa, mettete voi l’aggettivo, Raffaele Fitto, artefice dell’approdo agli interessi Londinesi del gruppo Colle OppioCosì, i Fratelli, che forse sono davvero Fratelli fra loro ma non per la Nazione, rischiano di diventare primo partito nazionale senza un economista di riferimento, una classe dirigente amministrativa dì rilievo, una cerchia manageriale adeguata, un programma chiaro. Il partito perfetto per un paese senza alcuno straccio di visione e volontà, se non quella legata all’anglosfera.
Un partito fortissimo nei numeri, e debolissimo nella realtà. Tanto debole da cominciare ad utilizzare quella stessa narrazione di debolezza tipica del mainstream globalista: l’operazione editoriale/televisiva Io sono Giorgia, tesa a compiacere la visione spirituale matriarcale dei padroni del vapore, quella irenica del “padre cattivo”, non è tanto una caduta di stile che una Comunità autocentrata avrebbe impedito, ma il segnale di un’alzata di mani, di un liberi tutti, che ha ben poco a che vedere col realismo politico e la ricerca social del consenso.
Ora, avendo corso il rischio di passare per quelle brutte persone del risentimento che in realtà non siamo, è doveroso arrivare ad un dunque: affinché quello dei Fratelli non sia l’ennesimo tranello, o se volete, l’ennesimo treno mancato, un certo vero schiaffo andrebbe dato a quella miriade di persone, aderenti, militanti, persino a tutta quella parte di area radicale dialogante, nel suo complesso incapace di sfruttare l’operazione FdI per creare alternativa reale. Una miriade tonto-fascista che si è messa in fila in attesa del solito posto al sole elettorale, pronta a gridare Io sono Giorgia, così come prima sosteneva Silvio e poi Matteo.
A dimostrazione, e a parziale discolpa del gruppo meloniano, che la volontà di potenza non difetta ad una parte politica, ma è carenza antropologica di questa nazione da troppo tempo abituata al solo commerciare.