domenica 10 Novembre 2024

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É una questione di cellule

Le cellule progettate al computer e nate in provetta adesso sono in grado di crescere e replicarsi in copie fedeli, dalle quali potrebbero nascere potenzialmente vere e proprie colonie tuttofare capaci di produrre farmaci o vaccini, oppure bonificare suoli e acqua contaminati, o ancora diventare fabbriche di carburanti e perfino di cibi del futuro. Pubblicata sulla rivista Cell, la ricerca è nata dalla collaborazione fra il J. Craig Venter Institute (JCVI) fondato dal pioniere della biologia sintetica Craig Venter, il National Institute of Standards and Technology (NIST) e Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Chiamato JCVI-syn3A dal gruppo di ricerca guidato da James F. Pelletier ed Elizabeth A. Strychalski, il nuovo batterio segna il terzo capitolo della storia della vita sintetica cominciata nel 2010. Allora era stato annunciato l’arrivo del primo batterio progettato su misura, come fosse stato una sorta di software della vita; nel marzo 2016 è stata la volta di JCVI-syn3.0, il batterio con un genoma minimale che in 473 geni: dieci volte di meno rispetto a quelli di un batterio naturale. Eppure in quei geni aveva tutto il necessario per vivere, o quasi. Non riusciva infatti a replicarsi perché le copie di se stesso che produceva avevano forme molto irregolari e dimensioni diverse. Di conseguenza nessuna di esse riusciva a sopravvivere.

“Adesso è arrivato il terzo passo, fondamentale, con un batterio capace di replicarsi”, osserva il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Roma Tor Vergata. Il segreto di questo successo è in sette geni, che il vecchio JCVI-syn3.0 non aveva, ed è solo da questi che dipende la capacità di replicarsi. Di almeno cinque di essi i ricercatori ignorano ancora la funzione, “ma ormai scoprirla non sarà un problema”, dice Novelli. “Sono questi i geni che regolano e controllano il processo di divisione. Questo significa che il nuovo batterio sintetico vive e si riproduce, di conseguenza può formare colonie e aprire la strada a farmaci e vaccini prodotti da fabbriche viventi”, osserva Novelli.

Rispetto al suo predecessore JCVI-syn3A ha ben 19 geni in più, ma sono solo sette quelli che gli permettono di replicarsi. Sono la chiave sia per capire da vicino alcuni processi fondamentali alla base della vita, sia per aprire la strada alle applicazioni della vita sintetica, come cellule che possono essere modificate per produrre a comando farmaci, cibo e o carburanti; si potrebbero ottenere anche sensori programmati come circuiti genetici per riconoscere malattie e consegnare farmaci direttamente all’interno dell’organismo, recapitandoli dover servono, o ancora organismi con genomi interamente ricodificati per eseguire compiti che i batteri naturali non sono in grado di svolgere, per esempio bonificare terreni e acque contaminati; fra le possibili applicazioni ci sono anche cellule sintetiche ibride, costruite a partire da elementi non viventi.

La ricerca in questo campo si annuncia come un gigantesco puzzle, nel senso che per progettare e costruire una cellula mai vista in natura e che esegua dei compiti ben precisi significherà avere una lista di componenti di base da assemblare per ottenere cellule diverse, come fossero mattoncini delle costruzioni. Sono già pronte decine di varianti di JCVI-syn3A, ottenute aggiungendo e togliendo mattoncini genetici.

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