Home Alterview Un caimano in disgrazia

Un caimano in disgrazia

0

Promemoria per qualche migliaia di imbecilli

 

La farsa ha avuto luogo. Il “tiranno” è caduto e la plebe festosa ghigna, incurante degli effetti che presto subirà, perché la volgarità e l’acredine degli impotenti, nell’orgia del momento, prevale sempre su ogni considerazione. 
La stupidità si somma così immancabialmente alla mancanza di dignità della folla sciatta che ben merita quello che le si rovescia addosso. Lo meritò di fronte a colpi ben più grandi e gravi, figuriamoci se non lo merita oggi.

In attesa – peraltro molto breve – che i camerieri dei banchieri vengano a chiederci i conti (e già si parla della reintroduzione dell’Ici) e molto ma molto prima che la gente se ne venga alla spicciolata, a mezza voce, con discrezione, a rivalutare l’idolo infranto, accorgendosi che stava meglio quando lo insultava, facciamo una rapida panoramica del Berlusconi IV iniziando dalla fine.

La fine è nota
 

La fine è nota e non è di certo gloriosa. Se non altro perché è coincisa con l’abbandono di Gheddafi e con il voltafaccia verso il popolo libico con tanto di trattato di amicizia tradito e con ben millecinquecento bombardamenti effettuati a tradimento, peraltro contro gli interessi italiani.
I tentativi di moderazione di Berlusconi sono stati imbarazzanti e indecisi e mentre i suoi, a iniziare da Frattini e La Russa, tradivano al contempo il leader, lasciandolo solo, la dignità italiana e gli interessi nazionali, il solo Bossi faceva sponda al premier, ma neppur lui con la dovuta convinzione.
 A questa figuraccia faceva seguito la sottomissione alla lettera-ultimatum di Trichet, ma con qualche tentativo di modifica, di tregua e di reinvio che oramai non ci saranno invece concessi, e, poi, l’ultimo complotto dei proci che obbligava il premier a dare le dimissioni e a cedere il passo a chi c’impiccherà tutti ben presto: il cameriere dei banchieri Mario Monti che il nostro Presidente Napolitano, che ama così tanto l’apocalisse da aver esaltato nel ’41 l’invasione tedesca della Russia, nel ’56 quella sovietica dell’Ungheria e nel 2011 quella della Nato in Libia, ha precipitosamente fatto senatore a vita.

Ankara capolinea

Il grande attacco a Berlusconi è partito all’indomani degli accordi di Ankara, con Putin ed Erdogan,  che sancivano l’avanzamento dei lavori per la realizzazione della pipeline South Stream, destinata a creare una coesione euroasiatica con perno a Mosca e a rintuzzare l’avanzata del Nabucco, il gasdotto che percorrendo la Via della seta (e della droga, e delle armi, e del terrorismo) intende invece mantenere l’Europa sotto il controllo atlantico e ben distaccata dalla Russia.

La campagna ininterrotta condotta contro il cavaliere di Arcore dai soviet dei tribunali e dai giornalisti internazionali, ivi compresi quasi tutti quelli delle sue aziende, puntava a piazzare a Palazzo Chigi qualcuno più docile all’idea di paralizzare l’Eni per poi svenderla, più disposto a porci geograficamente al centro di quello “scontro di civiltà” preteso dal Pentagono e ad abdicare ai nostri interessi e alle nostre tradizioni nel Mediterraneo.

Non è un mistero che il colpo di mano di Gianfranco Fini era stato previsto per lo scorso febbraio/marzo – ovvero in contemporanea con lo scatenamento delle “primavere arabe” eterodirette da Obama & co.
Ma Fini non ha neppure la stoffa del cospiratore ed è così che, preso in controtempo da Berlusconi, riuscì nella grande impresa di farsi neutralizzare in anticipo. Il che permise al premier milanese di restare in sella malgrado i piani dei poteri forti.
Da nove mesi in qua, comunque, tra opa francesi, minacce americane, speculazioni borsistiche, speculazioni finanziarie, complotti delle agenzie di rating ed eliminazioni progressive di interessi, contratti e influenze nel nostro spazio vitale (in particolare Libia, Egitto, Tunisia) Berlusconi ha provato soltanto a sopravvivere. Ogni azione politica era morta e sepolta. Conclusa probabilmente con gli accordi di Ankara.


L’eccezione del Berlusconi IV


Quali erano le azioni politiche tentate da Berlusconi, nel suo quarto governo, prima della grande offensiva che ha dovuto fronteggiare?

Proprio Ankara per cominciare; poi gli accordi con i Paesi del Nord Africa che davano all’Eni prosperità, all’Italia ossigeno e anche non poca influenza politica.
A parte questi risultati significativi, vanno messi in conto alcuni aspetti di non pochissimo conto.
Innanzitutto, sulla scia della rapida ed efficace reazione al terremoto abruzzese, si prospettava l’affermazione di una logica decisionista allargata alla politica e alla riforma costituzionale, una logica che metteva in difficoltà gli apparati delle deleghe; quindi registravamo un’azione a vasto raggio contro il potere assoluto dei commissari politici sul pensiero, sull’educazione, sul potere giudiziario. Poi operazioni populiste che in molti hanno potuto apprezzare, ad iniziare dall’abolizione dell’Ici.
Si trattava, ovviamente, non di un governo sociale, nazionale, rivoluzionario; e non solo perché, Cavaliere e qualche singolo a parte, l’esecutivo e l’apparato partitico non erano composti da gente di spessore e soprattutto di gente di carattere sia pur minimo e dunque non ci si potevano attendere rivoluzioni, ma perché era dichiaratemente di un governo capitalista che si trattava.
Semplicemente, e qui sta la chiave della questione, si trattava anche del primo governo capitalista dopo più di venti anni ad avere una propensione economica e non finanziaria ed una concezione vitalistica e non ingessata.
Si trattava di una maggioranza composita dove a fianco di uomini eternamente facenti parte dell’apparato di occupzione straniera – come Pisanu, Fini e il buffo Frattini – si annoveravano uomini mediatori dei poteri forti (Letta, Tremonti), resti delle linee autonomiste italiane che provenivano dal craxismo e da una certa sinistra Dc, i populisti del nord e l’apparato missino.
A fare l’unione tra tutti e a dettare le linee tramite mediazioni e sintesi, finché glielo hanno consentito, era Berlusconi. Un uomo cui non si è mai perdonato di essere un parvenu della politica e non un funzionario di casta, di essere ricco di suo e quindi non a libro paga. E, soprattutto, di avere idee e di prendere iniziative per conto proprio.
Ora che il parvenu è stato neutralizzato, nella coalizione grigia chiamata a svendere i nostri beni, ad affamarci, a grassarci e a spogliarci dopo averci inginocchiati, la linea la detteranno Wto, Goldman Sachs, Wall Street, City, casta apolide della finanza, per conto del commissario ghigliottinatore Monti con lama affilata dal complice Draghi.

Fuori strada e fuori tempo

I tempi sono oramai così rapidi che non è lontano il giorno in cui saranno in molti a convenire su quanto avevo anticipato fin dalla primavera del 2008.
E’ per questo che mi affretto a ribadire quanto tra pochi mesi sarà convinzione comune.

Non capire la portata dello scontro intra-sistemico che ha portato l’apparato sovranzionale di fede fondamentalista biblica e di cultura Wasp a rovesciare Berlusconi, a mettere una zeppa dentro il South Stream, a destabilizzare il Mediterraneo e a liquidare in tutti i sensi l’Italia, è gravissimo.
 Vada per la gente comune (che però ha capito globalmente più dei politici di ogni colore), ma non è accettabile per chi abbia una fede e – ammesso che esista chi ce l’ha – per chi abbia un minimo di lucidità, di quella lucidità che Lenin avrebbe definito rivoluzionaria.
Viceversa chi avrebbe dovuto ragionare ed agire radicalmente – tranne qualche raro caso di centralità – ha dimostrato di non essere all’altezza di nessun compito e di nessun appuntamento storico.

La sinistra che ha personalizzato il nemico e si è così posta compatta agli ordini della casta apolide, ha forse compiuto a suo modo una lotta di classe alla rovescia. Se il suo scopo era quello di voler ricreare cinicamente un proletariato, allora ciò ha un senso perché la povertà andrà presto al galoppo. Se invece le motivazioni erano altre, allora la sinistra è idiota e Lenin non abita di certo più lì.
In quanto alle differenti destre postfasciste peggio ci si sente. Quella istituzionale si è così immedesimata nell’apparato e nell’anima dell’apparato che ha fornito lo zoccolo duro alle congiure dei proci e che ha collezionato tutto il peggio dell’esperienza berlusconiana.
Alla destra della destra istituzionalizzata abbiamo assistito a due atteggiamenti altalenanti, schizofrenici e impolitici. Una corte serrata alle istituzioni, nella speranza di entrarci in qualsiasi maniera, si è alternata a slogan massimalistici e a scomposti quanto ineleganti ululati, o meglio belati, antiberlusconiani, lanciati nell’intento di dimostrare ai competitors più o meno indignados e più o meno pupazzos di non essere da meno.

L’eccezione non messa a frutto

Partecipare al pranzo o porgere il piattino sperando almeno in un cosciotto è stato il leit motif che ha caratterizzato destre amnesiache e destre terminali.

Chi ha partecipato al pranzo si è immediatamente identficato nel catering o si è eletto cassiere e ha dimenticato perché si era ritrovato al tavolo. Chi ha rosicchiato qualcosa in meno di un osso di pollo ha poi gridato contro il banchetto, dimenticandosi spesso, e soprattutto facendo credere agli altri, che se non aveva mangiato non era per propria dignità ma per propria incapacità.
In questo squallido alternarsi di figure meschine tutti – magnacci, magnaccioni, questuanti e perfino digiunanti – hanno dimenticato l’essenziale. Ovvero che si trovavano alle prese con uno scenario sul quale dovevano agire con autonomia e con strategia per capitalizzarlo con logica militare.

Sicché, contrabbandando per pragmatismo il loro servilismo più pieno o per intransigenza la loro assoluta incapacità, gli esponenti delle destre postfasciste non hanno assunto – tranne le dovute eccezioni molto spesso generatesi autonomamente – alcun ruolo politico.

E’ stato un porsi sempre impolitico di fronte al conflitto su Berlusconi, o come tifosi partigiani che lo condannavano per tutti i suoi difetti veri o presunti (dimentichi che quelli li condivide con tutti gli altri politici di oggi, i quali non hanno però in comune con lui le eccezionalità interessanti) o come clientes, contenti del semplice fatto di esserci ma senza un programma sul da farsi.

Eppure l’eccezione italiana è stata qualcosa di unico e di potenzialmente deflagrante che non è stato messo a frutto minimamente.

Non si doveva tifare, non ci si doveva riconoscere o dissociare; sono, queste, tutte logiche di masturbazione spettatrice da social network.

Non si trattava di accodarsi al governo o di contestarlo ma di agire indipendentemente con logica scientifica, con indipendenza totale e con capacità di discernere. E soprattutto senza complessi.

Si trattava cioè – posto di aver realmente dedicato la vita e il cuore al compimento di un’idea, di un sogno, di una pazzia – di agire con metodologia rivoluzionaria.

Chi l’ha cercata, oltre a tanti giovani interessanti, lo si ritrova soprattutto tra coloro che non hanno bisogno di gridare slogan per credersi irriducibili, tra quelli che hanno speso gran parte della loro vita tra ospedali, prigioni, esili, perché non hanno abbassato la testa; tra costoro, solitamente silenziosi e non di certo esibizionisti, la dignità, l’autonomia, l’indipendenza, l’estraneità agli apparati sono stati denominatori abbastanza comuni e l’intransigenza, poiché reale,  non è stata così dogmatica, isterica, imbecille come quella dei duri e puri da tastiera e da pub.

Operiamo anche per voi

Tutti gli altri si sono ritrovati a confondersi con il potere senz’anima oppure a strillare come oche ammaestrate insieme ai coristi di Murdoch.

Gli uni e gli altri per piacere tacciano quando pagheranno, non solo con la borsa, non solo con le lacrime, non solo con il sangue, non solo con la libertà, non solo con la vivibilità, il varo e l’operato del nuovo regime tecno-partigiano. Tutti quelli che – sia da asserviti, sia giocando ai rivoluzionari da cortile – non solo hanno disertato il proprio compito ma hanno contribuito a confondere le idee di chi avrebbe potuto svolgere un ruolo d’avanguardia, non hanno più neppure il diritto di parola. Se lo prenderanno lo stesso perché siamo in democrazia e perché la disonestà intellettuale, la meschinità caratteriale, l’aridità spirituale, e l’assoluta mancanza di autocritica stanno nell’ordine dei tempi come la mancanza di pudore degli esibizionisti e degli autoproclamatisi testimoni di Jeowa. E forniscono un ottimo strumento per la dittatura dei banchieri e dei pifferai.

Contro i quali, poi, i soliti idioti saranno sempre bravi a lanciare anatemi o per i quali saranno sempre bravi a tessere lodi. Così è la democrazia, così è l’inversione gerarchica che sono i destini obbligati del neofascismo, inchiodato al suo contrappasso.

Per fortuna non c’è solo la destra terminale, non c’è solo la destra amnesiaca, non c’è solo la sinistra servile e non c’è solo il gregge di pecore matte.

Per fortuna qualcuno ha una mentalità politica, radicale, fanaticamente lucida e già sa che deve confrontarsi con uno scenario allucinante. E lo farà anche per voi compatrioti – o sedicenti camerati – onanisti, ottusi, privi di carattere o imbecilli.
Quando la sbornia da “caduta del dittatore” sarà finita, che siate schierati con il governo dei tecnici o che stiate facendovi il vostro ku klux klan o la vostra al qaeda personale, iniziate a guardarvi intorno. Non vedrete nulla di rassicurante.

 

 

Nessun commento

Exit mobile version