Si entra nel quarto anno di “operazione speciale” lanciata da Putin con l’invasione dell’Ucraìna il 24 febbraio 2022.
“Durerà tre anni” ci annunciarono gli inglesi e, sembra – dico sembra – che possa concludersi presto.
Che ne sapevano gli inglesi? Dovevano essere bene informati. Probabilmente riuscirono in un primo tempo ad essere gli strateghi dell’intesa oggettiva russoamericana contro l’Europa che partì allora. Quanto concordata e quanto tacitamente condotta, è difficile dire con certezza. Ma di fatto era già iniziata in Sahel un anno prima.
Nè a Washington né a Mosca garbava il progetto di ristrutturazione tecnologica e industriale europea e il nostro accesso a minerali rari, sia in Africa sia in Donbass dove ne avevamo ottenuto lo sfruttamento con un accordo del luglio 2021 che fu la vera causa della guerra in Ucraìna, e che oggi Trump pretende sia regalato agli americani.
Che esito per il conflitto?
Ancora non sappiamo come finirà. Trump sembra voler regalare la pace vantaggiosa ai russi e sostenerli perfino, ma lui straparla in pubblico mentre fuor dai riflettori le cose vanno altrimenti. Basti pensare che in meno di un mese oltre l’80% dei suoi provvedimenti è stato bocciato dalla Corte Suprema pure a maggioranza trumpiana e che i dazi a Canada e Messico sono stati sospesi.
C’è un Trump bullo e guitto che piace tanto alle antropologie leghiste e poi c’è un Trump silenzioso che raramente va dove ha strillato.
È una guerra vinta o persa?
La guerra è vinta? Sì, dagli americani.
È persa dall’Europa? Sicuramente.
Ha avvantaggiato altri players come influenze e condizioni economiche, in particolare sul mercato energetico? Sì: la Cina, Israele, le petromonarchie sunnite, la Turchia.
L’Ucraìna ha pagato un enorme costo di sangue? Sì.
La Russia ha vinto? No!
La Russia ha fatto vincere gli americani ma ha perso catastroficamente e può solo sperare di essere risarcita dalla Casa Bianca per il servizio reso. Sempre che la Casa Bianca alla fin fine ritenga davvero utile risarcirla e che le condizioni glielo consentano perché Trump non ha il potere assoluto sugli interessi americani e perché questi non sono così facili da districare da quelli europei, cinesi, indiani, sauditi ecc.
Che l’operazione speciale russa si sia rivelata un disastro è lampante
Gli obiettivi dichiarati da Putin nei primi giorni del conflitto erano:
“Smilitarizzazione” dell’Ucraina; Protezione delle popolazioni russofone nel Donbass; Neutralità dell’Ucraina; Cambio di governo a Kiev.
Ha centrato solo il secondo ma anche perché ha evacuato gran parte delle popolazioni.
Per l’ultimo obiettivo inviò truppe già in divisa di parata ed esortò più volte al golpe.
Fu sconfitto, sicché ripiegò sul Donbass e verso Odessa dove lanciò una poderosa offensiva.
Dopo un primo periodo di avanzate culminate nella conquista di Mariupol, la “città di Maria” dove ceceni sgozzavano cristiani al grido di “Allah akbar” e venne praticata poi una sostituzione etnica, l’armata russa subì rovesci dagli ucraìni riorganizzati e si ritirò parzialmente per assestare il fronte.
Fu a questo punto che gli aiuti americani agli ucraìni cessarono frenando la controffensiva che avrebbe potuto chiudere la guerra.
Gli aiuti militari americani vennero calibrati e imbrigliati, mentre le relazioni russoamericane continuavano ovunque (dallo spaziale alla Siria) e il 72% delle componenti dell’armamento russo continuavano ad essere di produzione USA così come la quasi totalità dei programmi per i carri e i lanci di missili, mentre i russi continuavano a fornire l’uranio per il nucleare americano.
Per oltre un anno, fino all’estate del 2024 il fronte non si mosse più.
Il fronte oggi
Se si assiste alla disposizione delle truppe da via satellite (oggi è alla portata di tutti) si nota che sul saliente del Donbass che la propaganda russa sostiene essere oggetto di un’avanzata quotidiana, in 23 mesi gli invasori sono riusciti a muovere in uno spicchio che equivale allo 0,6% del territorio ucraìno, a costi umani e di materiale enormi e senza alcun successo strategico.
Ma la propaganda russa dice il contrario e i media la ripetono acriticamente, senza prendersi la pena di controllare. È una bufala. Almeno fino ad oggi. Che domani uno dei due combattenti possa sfondare quel fronte all’improvviso non lo si può escludere, anche se è improbabile.
In compenso gli ucraìni sono entrati nel Kursk, in Russia. Doveva essere liberato in tre settimane (sempre Putin), ne sono passate ventotto. La controffensiva russa ha riconquistato un fazzoletto e poi ci sono state tre controffensive ucraìne di successo.
L’offensiva nel Kursk non è solo una mossa psicologica. Gli ucraìni hanno di lì sotto tiro la principale via di collegamento tra la Russia e il Donbass e per questo la macchina di rifornimenti, costretta a passare da percorsi ben più tortuosi, si è inceppata dapprima e comunque molto appesantita poi, per i russi.
È solo questione di territori?
La guerra più che sui fronti si combatte però sul logoramento umano e di risorse.
Ovviamente l’Ucraìna è esausta. Ma ha due fattori di vataggio sui russi. Il primo è che, contrariamente alla propaganda russa e americana, ci sono più soldati che armi, mentre dalla parte opposta si devono arruolare coreani e africani per non indire la leva obbligatoria col rischio di un crollo di governo.
Il secondo è che i tempi di ricostruzione delle infrastrutture ucraìne sono molto più veloci di quelli russi, per costoro è una questione endemica. Tanto che l’allora vicepremier russo Manturov un anno fa lanciava l’allarme perché sarebbero serviti non meno di 4 anni per riassestare la macchina bellica russa. E intanto i bombardamenti mirati ucraìni sono aumentati.
Successivamente l’ex governatore di Donetsk, che ora sta pagando per le sue affermazioni, accusava la gestione bellica di Putin affermando che in futuro la Russia non sarebbe più stata in grado di combattere neppure l’Azerbaijan.
Il successore di Manturov, poi, incitava l’uso del nucleare per cercare di vincere la guerra.
E ci sono i droni
Droni che gli ucraìni costruiscono anche artigianalmente con una capacità di stile afghano, montandoli con l’ausilio di tutorial su youtube. Con questi non soltanto vengono colpiti gli obiettivi strategici ma si è definita la superiorità aerea sicché i russi non possono usare l’aviazione.
In quanto all’artiglieria, da sempre l’arma russa per eccellenza, è stata così sollecitata e utilizzata senza sosta che il rapporto di munizioni, partito da 5 a 1, si era ridotto sei mesi fa a 1,5 a 1. Presumibilmente è ancora in calo. E intanto nel Donbass le truppe sono ferme non soltanto per l’esercito ucraìno ma per la carenza di blindati, sacrificati in un’ecatombe.
Kiev può sorridere?
Con questo non si può dire che gli ucraìni abbiano vinto la guerra. Potrebbe perfino accadere con il prosieguo di quest’andazzo che produrrebbe il terzo collasso sistemico in Russia in poco più di un secolo. Ma se gli aiuti all’Ucraìna venissero meno e se Trump offrisse regali a Putin, finirebbe diversamente.
Gli americani sono l’ago della bilancia: stabiliranno loro la divisione delle perdite russe ed europee e i propri guadagni. E saranno eternamente grati a Putin che ha regalato loro successi economici, politici e strategici a raffica e ha perfino resuscitato, allargato e potenziato la Nato.
Ma non c’è solo il fronte ucraìno
I capolavori putiniani in questi tre anni sono stati molteplici.
In Sahel, aiutati dagli americani che avevano addestrato diversi golpisti e che hanno perfino ospitato i russi nelle proprie caserme, Mosca centrò inizialmente un successo. Ma lo ha sperperato in pochissimi mesi, forse anche per effetto dell’uccisione di Prigozhin e del suo vice di Wagner da parte dei servizi russi durante la guerra intestina che ha prodotto decine e decine di vittime illustri.
Fatto sta che in seguito i russi hanno perso più volte con gli jihadisti che, da quando sono partiti i francesi, hanno letteralmente raddoppiato il territorio sotto controllo nel Sahel.
Il successo iniziale nel Sahel indusse Putin a proporre la Russia come la protettrice del revannscismo africano con toni di razzismo antibianco alla Nelson Mandela, e con entusiasmo incontenibile del suo partito in Sud Africa quando il boss del Cremlino spiegava che la sola civiltà è meticcia e che gli europei devono pagare il fio del colonialismo. Ma, dopo che oltre quaranta paesi avevano risposto all’appello afrorusso, al seguente non furono più di tredici.
La Russia ha perso influenza sui mari
Sul Mar Nero la sua flotta è stata falcidiata dai droni ucraìni e quel che resta non può prendere il largo.
Con la caduta di Assad ha perso anche la base di Tartus in Mediterraneo e la sua flotta è ripartita verso casa attraverso lo Stretto di Gibilterra.
La stessa caduta di Assad si deve in parte al disastro bellico russo che ha attirato enormi quantità di droni iraniani contro Kiev, rendendo così Teheran quasi disarmata al momento dell’avanzata jihadista in Siria.
La Russia non ha vinto nessuna guerra.
Ma poi, di che genere di conflitto si tratta?
La guerra del Cremlino non è più contro gli USA, contro la Nato e contro l’Occidente come vaneggiava all’inizio. Ormai il Cremlino parla solo contro l’Europa e non smette di riproporre l’età dell’oro di Jalta e dell’alleanza russoamericana.
Ma anche questo è un tentativo di riassetto perché nel frattempo gli “alleati” del BRICS hanno strangolato Mosca comprando sotto costo, non fornendo armi o addirittura, come ha fatto l’India, sostenendo Kiev.
Intanto gli accordi tra europei, cinesi, americani e l’entroterra eurasiatico di Mosca si sono moltiplicati.
In pratica la Russia sta solo facendo fronte a crisi ovunque.
Peraltro le dichiarazioni improvvide di Trump, se verranno confermate dai fatti, rischiano di creare convergenze di interessi tra Europa, Cina, Giappone, India e Australia a tutto svantaggio russo.
Sceneggiate
Putin canta vittoria, ma sa benissimo che si tratta di una mistificazione che può essere credibile solo se gli americani concederanno a Mosca una pace con cui riprendersi.
Trump aveva inizialmente minacciato l’applicazione di sanzioni strutturali che metterebbero in ginocchio Mosca in tre mesi e che gli USA mai hanno voluto imporre. Ma ha poi mostrato anche la disponibilità a togliere una serie di pacchetti, col che si salverebbe il Rublo e si consentirebbe alla Russia di cominciare una lunga e difficile ripresa. Sempre il bastone e la carota.
Quale di questi scenari sarà realizzato? Lo scopriremo.
Il caso peggiore
Poniamo che l’intesa russo-americana si riproponga con il gemellaggio imperialista degli anni quaranta, diamo cioè per scontato lo scenario peggiore, che però resta ancora da comprovare.
In questo caso la Russia potrebbe contrabbandare per vittoria un disastro di oltre tre anni in cui si è dissanguata in uomini e mezzi, ha perso molti partners, ha visto svanire parecchio della sua credibilità e della sua infuenza anche nel giardino di casa.
E per che cosa? Per ottenere dagli americani, ma a costi strabilianti, alcune ex provincie, alcune delle quali già inculse in Costituzione in Russia ma ancora saldamente in mani ucraìne, dove poteva comunque mantenere la propria influenza comportandosi in modo intelligente e urbano, approfittando del sostegno francotedesco che è andato avanti imperterrito fino all’invasione.
Ma non ne ebbe l’intelligenza e l’umiltà.
Il disastroso peccato di presunzione
Alimentata dagli effetti della crisi del 2008 che riempi i suoi forzieri per via dei prezzi alle stelle del gas e del petrolio, la megalomania s’impadronì del Cremlino, già ampiamente frustrato dalla perdita di appeal subita ovunque a vantaggio degli europei.
Ma la realtà si è dimostrata ben diversa da come se la immaginavano Putin e i suoi e l’operazione speciale è diventata un dissanguamento che ha portato la Russia sull’orlo del terzo collasso sistemico in centosette anni.
E ora conta sul padrino americano perché le salvi (parte del)la posta e (parte del)la faccia.
Per dirla alla Guzzanti: “Trump, ricordati degli amici!”
Il punto è che non sappiamo cosa voglia davvero Trump, né quanto possa imporre quello che vuole.
La sola cosa certa oggi è che stiamo per entrare nel quarto anno di disastro determinato di russi e da loro subito in modo imbarazzante.
Ma festeggeranno senza pudore, aspettando di fare i bulli il 9 maggio con le loro bandiere rosse, simbolo delle stragi di cui si sono ripetutamente macchiati e delle quali sono eternamente nostalgici.