Droga, alcol, suicidi, povertà, disperazione. Questo lo scenario in cui vivono gli ultimi superstiti della civiltà aborigena australiana, stroncata dal contatto con l’Occidente anglosassone e cristiano. È per questo che ora gli aborigeni hanno deciso di intraprendere la loro marcia su Camberra.
Oggi gli aborigeni hanno un’aspettativa di vita di 20 anni inferiore a quella dei bianchi e ultimamente si sono visti privare anche dell’unico organismo politico di rappresentanza, la Commissione indigena Atsic, sostituita da un ente meramente consultivo.
“Siamo una razza che sta morendo – ha dichiarato il campione sportivo – Se non facciamo qualcosa adesso, fra 50 anni non ci saranno più zii e zie, non resterà nulla della nostra gente e della nostra cultura”. E’ questo che vorrebbe andare a dire al primo ministro, se lo riceverà, quando – prevedibilmente il 2 dicembre – raggiungerà Canberra col suo drappello di aborigeni e bianchi che hanno deciso di unirsi alla marcia, sensibilizzati dalla sua determinazione e dai toni pacifici di una protesta che nei mesi scorsi era invece esplosa con violenza in uno dei ghetti di Sidney dopo che un ragazzo era morto cadendo per sfuggire a una pattuglia della polizia.
Linda Bumey, rappresentante politica aborigena, si è detta certa che la sua marcia, giunta ieri al centesimo chilometro, raccoglierà “un esercito di aderenti quando raggiungerà Canberra”, e la stampa australiana lo già ha paragonato alla celebre militante dei neri americani Rosa Parks, che galvanizzò il movimento dei diritti civili negli anni ‘50 in America col suo rifiuto di cedere il posto sull’autobus a un cittadino bianco. Ma a chi gli proponeva il raffronto, Long ha risposto che “c’è solo una razza, ed è la razza umana”.
(25 novembre 2004)