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Un’Italia sommersa

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da veleni, discariche e burocrazie

Foreste in fiamme, navi che rilasciano veleni sul fondo del mare e interi paesi travolti da frane rovinose: immagini apocalittiche di una terra martoriata. Ci si chiede come sia possibile arrivare a tanto e soprattutto se e in che modo si possa porre rimedio.
Nel nostro paese a vigilare sull’ambiente abbiamo agenzie regionali, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), il Ministero dell’Ambiente con i suoi mille dipartimenti Istituto Superiore di Sanità e Università, per non parlare delle varie associazioni ambientaliste. Migliaia di persone coinvolte, enormi risorse e ben pochi risultati. Possibile?
Una grossa responsabilità della pessima condizione ambientale in cui versano numerose aree del nostro paese è sicuramente da attribuirsi alla connivenza degli enti sopraccitati con “inquinatori e distruttori”: delle navi affondate in Calabria (e non solo) si sapeva ben prima che il pentito di turno facesse le sue ammissioni, così come pare strano che i monitoraggi delle agenzie regionali non rilevino la benché minima traccia di contaminanti in prossimità delle grosse aree industriali, troppo “pulite” per non destare qualche sospetto. Soldi spesi per produrre montagne di dati e relazioni tecniche che si impilano inutilmente sulle scrivanie dei vari passacarte; dati che raramente vengono analizzati, confrontati e usati in modo efficace, nonostante ci siano le competenze. Fondi nazionali e internazionali, che vengono distribuiti molto spesso per favori, poco per effettiva utilità e competenza. Come sempre sono i cittadini a fare le spese di tutta questa disonestà e disorganizzazione.
Ma il vero problema è ben più profondo. In Italia non esiste una coscienza ambientale vera e propria. Le questioni ambientali il più delle volte sono un problema locale, che si affronta cercando un semplice compromesso tra le parti in causa, piccole dispute di provincia, contro il depuratore o l’industria di turno. Questo  sistema non è affatto giusto. Ci vogliono perciò leggi molto precise e comuni che tutelino tutto il territorio nazionale, poiché esso è patrimonio di tutti e non solo di chi ci risiede, che invece di sfruttarlo, ha il dovere di proteggerlo. 
Il codice penale italiano al momento prevede reati ambientali come immissione illegittima di sostanze nocive, danneggiamento di patrimonio naturale: reati punibili con qualche anno di prigione e multe neanche troppo salate. Inoltre i progetti che prevedono una sostanziale modifica dell’ambiente sono sottoposti alle Valutazioni di Impatto Ambientale, ossia delle valutazioni tecniche sugli effetti apportati dal progetto e relativi costi-benefici. Ma chi decide cosa è un costo e un beneficio in ultima analisi? La pubblica amministrazione…..Con il risultato che nel nostro paese è possibile cementare un fiume, disboscare, costruire sulle pendici di un vulcano, piazzare una centrale a biomasse nel bel mezzo di un parco nazionale, così al posto di boschi e campi fioriscono aree industriali e mastodontici centri turistici.
Là dove avidità e ignoranza superano il buon senso evidentemente è necessario avere definito in modo univoco cosa è lecito e cosa non lo è.
Anche perché, una volta fatto, è alquanto complicato riuscire a quantificare un danno ambientale come la contaminazione di una costa, o la distruzione di un bosco.
Ci vuole un serio impegno delle istituzioni per superare le grosse differenze a livello di gestione locale, per cui di fianco ad aree naturali di estremo pregio- supportate da chi proprio nell’ambiente investe e trae ricchezza- esistono zone ad elevato rischio ambientale, sfruttate senza possibilità di recupero. E molto deve fare chi al degrado si adatta e si assuefa, chi non difende, né rispetta la terra in cui vive.   
Il problema d’altronde è culturale (da Kultur) ossia d’Idea del mondo che per secoli è stata compressa.

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