“La mia mostra per Marinetti: il Futurismo è come il rock”
Il Futurismo non morirà mai, dice Yoko Ono. La rockstar e performer giapponese questo atto di amore nei confronti del movimento futurista l’ha scritto a chiare lettere. Sulle cinque lapidi che ha piazzato al centro della galleria di Stefania Miscetti appare “1909” – anno di nascita dell’avanguardia di Marinetti e compagni (con Russolo, Boccioni, Carrà, Severini immortalato nella celebre foto parigina del 1912) – mentre la data di morte ancora è da incidere, lontana da venire.
Del resto la neoavanguardia Fluxus, della quale Yoko Ono è stata protagonista negli anni Sessanta a New York (dove giunse ventenne nel 1953), deve molto alla rivoluzione marinettiana. E lei, la moglie di John Lennon, la donna che ha fatto spesso della loro vita una performance, anche politica, proprio nel centenario del primo manifesto futurista è rimasta folgorata dalle parole di Marinetti: “Noi volgiamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia”. Yoko Ono le ha lette l’anno scorso appena entrata alla mostra sul futurismo alla Tate Modern di Londra. “Mi si sono riempiti gli occhi di lacrime e non sono più riuscita a proseguire” ha confessato nel suo testo appeso da martedì all’inizio della personale a Trastevere. Poi la constatazione amara: “Coraggio, audacia, ribellione. Dove sono andati a finire? Una volta li avevamo. Era il Rock. Ma ora bisogna cercare a lungo prima di trovarlo …”.
Poetessa, cantante, filmmaker, Ono impiega però soprattutto le immagini per i suoi racconti. La gigantografia dello scatto del 1912 con i cinque moschettieri futuristi (la stessa foto che ha ispirato Mario Schifano) appare sul muro di fondo della galleria. La si scopre un po’ alla volta, insieme con le tre installazioni disposte sulle altre pareti: per ogni capolavoro in cartolina di Boccioni (da Materia alla Risata) una “natura morta” che comprende gli occhialini dalle lenti tonde o “Le Figaro” del 1909. E’ una scena rivissuta cent’anni dopo. Che si può percepire sin dall’inizio della mostra attraverso un cannocchiale che va a monete, di quelli piazzati sul Gianicolo. Ma l’apertura dell’obiettivo dura un attimo: il tempo di un battito di ciglia, lo stesso della Storia.
Carlo Alberto Bucci