sabato 21 Dicembre 2024

Che Guevara e dintorni

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Due epoche che non possono assolutamente comprendersi

Cinquantaquattro anni fa, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre, veniva ucciso dall’esercito boliviano Ernesto Guevara detto il Che. Un medico argentino che, divenuto politico e guerrigliero, si era messo al servizio della rivoluzione cubana e del sogno insurrezionalista antimperialista da lui riassunto nel Progetto Tricontinentale.
Il Che era comunista. Non un comunista doc, perché considerato troppo romantico e velleitario, ma un comunista che sarebbe piaciuto un po’ ovunque fino a terminare, ironia della sorte, come un’icona di merchandising per la gioventù borghese occidentale.
Alla sua morte le prime reazioni apologetiche vennero però da tutt’altra parte. In Italia il Bagaglino, il notorio caberet di matrice fascista che avrebbe lanciato fior di artisti, come Oreste Lionello, Pino Caruso, Gabriella Ferri, Pippo Franco, gli dedicò la prima canzone in assoluto, “Addio Che”. Fu un fascista italiano il regista del primissimo film su Guevara, girato in Sardegna. La Federazione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana l’omaggiò dopo averlo sostenuto da vivo. Una cooperazione organica e sincera con il Che si era instaurata da parte dell’indiscussa figura di riferimento del neofascismo mondiale di quei tempi, il presidente argentino Juan Domingo Perón il quale, oltre a sostenerlo pubblicamente in più circostanze, lo accolse nel suo esilio a Madrid, con l’avallo di Franco, per la preparazione del “fuoco” insurrezionale che Guevara tentò di realizzare in Africa.
Tutto questo oggi non si può comprendere, può sembrare confusione d’idee.

Quando contavano altre cose
L’altra sera a Parigi si è tenuta una cena tra coloro che avevano militato, trenta o quarant’anni fa, nel movimento Troisième Voie. Presenti anche altri militanti dell’epoca, del Gud o del Pfn.
A un certo punto si è avuto un duetto tra due delle figure storiche più importanti della dr francese, Jean-Gilles Malliarakis, tra le altre cose fondatore e capo di quel movimento, e Jack Marchall che gode di una notorietà internazionale tra quelli della mia generazione essendo stato tra l’altro – lui che fu militante e artista poliedrico – l’ideatore del Rat Noir, il topolino poi trasferito sulle pagine de La voce della Fogna.
Essendo una serata di ricordi, i due spiegavano per quali ragioni il primo nel 1961-62 si era schierato per l’Algérie Française e il secondo pensasse già allora che l’Algeria dovesse essere indipendente.
Quando presi la parola raccontai che all’epoca io avevo solo sette anni ma ero già sufficientemente malato mentale da seguire con passione al telegiornale quello che accadeva nel mondo. Dissi che ero di cuore con l’OAS (Organisation Armée Sécrete che si batteva per l’Algeria Francese) e con Benbella che pensavo ne fosse il capo (era invece il principale tra i dirigenti dei ribelli algerini). Contemporaneamente seguivo con passione e simpatia i servizi su Fidel Castro e su Franco.
Questo racconto ha suscitato una bonaria ventata d’ilarità. Tuttavia ho replicato dicendo che in effetti era proprio a sette anni che avevo ragione e che a portarci fuori strada sono stati i cervellotismi schematici del poi, perché i francesi dell’OAS avevano ragione e aveva ragione Benbella, Castro aveva ragione e aveva ragione anche Franco.
I presenti hanno allora annuito.

Tu chiamale se vuoi emozioni
Non lo si può capire oggi che la gente si odia senza neppure conoscersi, che i contendenti non si prendono nemmeno più a schiaffi ma s’insultano e si minacciano su internet e auspicano milioni di anni di galera a chi non segue questa o quella paranoia di cui si fanno portatori.
Non lo si può comprendere oggi che il linguaggio binario dei mentecatti è dominante, non si può cogliere oggi che il dogmatismo più sciocco impera e produce schematismi fissi da rigor mortis.
Non si può capire che la vita è un’altra cosa, e ancor di più lo è la vitalità nella vita. Non si può cogliere, se non fraintendola, la definizione che Mussolini diede del fascismo come chiesa di tutte le eresie. E tal era perché vivo e non becchino come le ideologie che aveva di fronte.
Non si può concepire che la vita è poliedrica e che esistono dimensioni diverse, dal particolare all’universale e che, quindi, in più di una circostanza degli avversari veri, vivi, attivi, combattivi, possono convergere senza per ciò unirsi e confondersi. Non si capisce come si possa combattere un nemico e rispettarlo – e qualche volta amarlo – senza cessare di combatterlo.
Difficile far comprendere qualcosa del genere all’odierna umanità terminale che è tutta eccitata intorno alla siringa vaccinale e all’utilizzo delle chiappe.

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