domenica 22 Dicembre 2024

Cosa ci ha dato il 22

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Un anno molto significativo

 

Si conclude l’anno del Centenario che ha chiuso ed aperto vari capitoli nazionali, europei e mondiali.

Iniziamo dai simboli
Per diverse ragioni, tra le quali la chiusura arbitraria dei cimiteri romani, la celebrazione della Marcia non è caduta nel ridicolo ma in compenso omaggi floreali discreti e solenni sono stati deposti sugli altari dei Caduti della Rivoluzione, al Verano e al Campidoglio. Il centenario è incredibilmente caduto quando per la primissima volta era stata nominata premier una persona nata e formata nel partito neofascista.
Continuiamo con i simboli di cambio d’era: nello stesso anno se ne sono andati Elisabetta II ed Edson Arantes do Nascimento. “La Regina d’Inghilterra era Pelé” aveva cantato Venditti riferendosi al mondiale 1966. La Regina per antonomasia e O’ Rey di ogni angolo della terra se ne sono andati praticamente assieme, e in un anno di mondiali per giunta.
Ma forse il simbolo più forte è quello della ripetizione mimetica del Fronte dell’Est con la Russia che non solo attacca l’Europa ma l’accusa di essere nazista.

Gli attacchi all’Europa

L’Europa, nelle sue singole componenti e nel suo insieme, deve affrontare sfide nuovissime, come la ristrutturazione energetica e la reindustrializzazione. Questo ha comportato una serie di iniziative più o meno improvvisate che mentre la vedono farsi imporre dal sodalizio tra Washington e Mosca lo shale americano, hanno aperto una serie di strade geoenergetiche verso il Mediterraneo e non solo.
La Spagna ad esempio conta di ospitare nel prossimo settembre un vertice tra Ue e players dell’America Latina per aprire una via del litio.
D’altronde tutti sono consci che, al netto delle balle delle propagande incrociate, la guerra in Ucraìna è stata causata dall’accordo del luglio 2021 tra Kiev e Ue per lo sfruttamento del cobalto del Donbass. I russi stanno svolgendo lì, in Mali e in Libia, il ruolo di gendarmi per contenere la nostra crescita a vantaggio dei loro padrini e padroni americani.

Le azioni dell’Europa
La crisi dovuta al blocco delle filiere internazionali, in particolare dei semiconduttori, all’inflazione, e infine alle paralisi geoenergetiche e geopolitiche della guerra in Ucraìna, ha imposto che gli europei si dessero di nuovo una disciplina per uno sviluppo industriale e militare, in cui spiccano le proporzioni e i toni del riarmo tedesco.
Frattanto le ambiguità maturate negli anni verso Mosca e i popoli che essa vorrebbe asservire di nuovo hanno fatto saltare equilibri decennali. La Germania si trova in grosse difficoltà con il proprio Lebensraum geoeconomico e deve prendere per forza le distanze da Mosca. Parigi, pugnalata alle spalle per due volte consecutive dal Cremlino, lo ha già fatto ed è passata dal sostegno discreto ai ribelli del Donbass a quello esplicito degli ucraìni.
L’intesa Parigi-Berlino vacilla mentre si sviluppano nuove intese nell’Europa mediterranea, non solo frutto del Trattato del Quirinale ma anche di iniziative iberiche.
L’attivismo francese spinge già verso prospettive post-belliche con la creazione della Cepe, una sovrastruttura allargata che collega la Ue ad altri players, come l’Inghilterra e la Turchia, e che potrebbe essere un luogo di trattative per la pacificazione in Ucraìna.
In tutto questo agitarsi che segue al contempo spinte centrifughe e centripete, l’Italia ha improvvisamente acquisito un ruolo di prima importanza.

Le potenzialità italiane
Al crocevia tra sottomissione atlantica e revanscismi europei, strettamente connessa all’economia tedesca, alleata da un anno della Francia, con una premier vicina a Visegrad e in particolare alla Polonia, l’Italia ha un ruolo potenziale senza pari.
Aggiungiamoci che la premier presiede il gruppo europeo dei conservatori e ha nell’esecutivo partiti che appartengono sia ai popolari che ai sovranisti, ed ecco che tutto questo potrebbe spianare la strada ad un populismo pragmatico e responsabile che si potrebbe affermare in diversi paesi.
La foruncolosi sovranista sembra ormai essere ovunque sulla via della guarigione e, grazie anche alla meningite wokista delle classi dirigenti progressiste, si sta verificando qualcosa forse d’inevitabile. Afferrata nella sfida imperialista, l’Europa si deve dotare di una visione politica adatta al proprio imperialismo in gestazione e non può che attingere a piene mani dal buon senso populista  che dev’essere mondato dai suoi saltimbanchi e dai suoi clowns, anche per regolamentare la questione migratoria finora tabù.
E potrebbe iniziare proprio dall’Italia.

Il cortocircuito britannico
Le stupidaggini alla Exit hanno sbattuto la faccia di fronte agli elementi concreti fin dall’avvio della Covid. Il modello preso a torto dai sovranisti era la Brexit, dimenticando che si parla di una piazza finanziaria di prim’ordine, espressione di gran parte del Terzo Mondo, in connessione con il suo ex impero. La scelta dell’abbandono della Ue, dovuta alla volontà di non imporre trasparenza alla City, pur essendo sostenuta da un simile entroterra, non teneva conto che fu l’adesione alla Cee che salvò l’Inghilterra dalla bancarotta. Addirittura nel 1959 il premier Macmillan incaricò uno studio approfondito sulle prospettive che avrebbe avuto Londra se si fosse legata al Commonwealth e quali se si fosse invece legata all’Europa: ne scaturì che era la sua unica carta.
Dopo la Brexit la Gran Bretagna ha gonfiato il petto e ha intrapreso iniziative da prima potenza, soprattutto nella guerra in Ucraìna, ma non ha superato l’estate. Boris Johnson è stato spazzato via e in seguito Liz Truss si è fatta stritolare quando ha provato velleità tardo thatcheriane.
Ora Londra prova con un uomo della finanza di etnia indiana a salvare il salvabile, anche le possibili fughe dalla Corona di Australia e Scozia.
Il sovranismo è ormai sotterrato, vittima delle sue insulsaggini.

La Russia cerca di tenereci fuori dai giochi
Una Russia al capolinea ha giocato per l’ennesima volta la carta che le è più congeniale: attaccare l’Europa da est fidando nel cointeresse della talassocrazia Wasp del momento.
Dal 1812 era accaduto tre volte, tradendo una prima volta l’alleato francese e per altre due i tedeschi. Nel 2022, con l’invasione dell’Ucraìna, si è ripetuta tradendo al tempo stesso gli accordi sia con la Francia che con la Germania. Ora ci sta costringendo a vedercela con essa mentre gli Usa guadagnano terreno e nella scia lo fanno India e Turchia.
Il presunto scontro tra Oriente e Occidente tanto acclamato dalle cornacchie del Cremlino non si sta verificando e, anzi, Putin continua ad essere umiliato dai suoi partners non europei.
Ma questa perdita di tempo, dettata dall’evidente incapacità russa di assumere un ruolo costruttivo, ci allontana dagli scenari centrali del Pacifico dove solo Francia e Germania svolgono un ruolo importante, ma lo può anche la diplomazia italiana, specie nel luogo srategicamente importantissimo di Singapore.

Fiori di ciliegio in Ucraìna
Tutto questo accade al di fuori dalla luce dei riflettori che si soffermano solo su gossip o su baggianate propagandistiche e mai sull’essenziale.
Così, fuori dalla luce dei riflettori, avviene una sanguinosa rigenerazione europea.
I volontari, che non sono mercenari perché non hanno altro che vitto, alloggio, divisa e bara, che affluiscono in Ucraìna sono migliaia e migliaia da tutta Europa.
Rispondono alla denazificazione e ai congressi internazionali antifascisti, all’erezione delle statue di Lenin, ai carri con le bandiere rosse e la falce e il martello ma, soprattutto, alla volontà di rieducazione di uomini e popoli, così sovietica, così da Norimberga.
Rispondono all’ombra minacciosa del nuovo imperialismo russo, alla prepotenza del numero e della materia e difendono un popolo che non si arrende.
So con certezza di centinaia di caduti tra questi volontari, so come e quanto si siano distinti in azioni brave. So pure che migliaia e migliaia di persone sono state respinte nelle retrovie perché, senza esperienze, sarebbero un peso.
So che la coscienza politica, religiosa, ideale, è cristallina e che tutti costoro sanno bene che gli Usa e l’intero Occidente sono alleati fasulli, più in sintonia con il nemico che con loro o con la stessa Ucraìna. Sono lì dove si dev’essere e così come lo si deve.
Chiunque abbia un seppur minimo di senso delle cose sa che da questo sacrificio non possono che nascere nuove primavere che germoglieranno in futuro, dove esattamente non è dato sapere, ma lo faranno sicuramente. Intanto a loro diciamo: lotta e vittoria!

Quelli che si perdono nel buio russo
Ha un sapore da sarcasmo amaro che la destra terminale in diversi paesi occidentali stia passando accanto a un simile miracolo rigeneratore non soltanto senza rendersene conto ma parteggiando per i boia, i denazificatori, gli antifascisti, i torturatori, coloro che vogliono distruggere ogni fondamento della nostra civiltà e della nostra intera idea del mondo.
Indubbiamente nel coacervo ci sono nature ignobili, e da quelle non potremmo attenderci diversamente. Ci sono poi quelli che hanno interessi pecuniari e non sono meglio dei primi. Ma perlopiù si tratta di un fenomeno di autocastrazione e di autolesionismo dettato dall’esser sprofondati in un antro buio nel quale si sono costruite impalcature artificiali e zoppe di antagonismi e di NWO nelle quali ci si perde senza più alcuna carnalità finendo puntualmente fuori dal reale, esattamente come un tempo certi compagni.
Ho trattato anche di tutto questo nel mio recentissimo Destra terminale addio. Va aggiunto che la scelta di campo filo-russa nei paesi occidentali è quasi ovunque inversamente proporzionale alla militanza e, quindi, alla conoscenza del reale ed è quasi esclusivamente un vezzo di boomers non condiviso dai giovani che stanno sempre nel reale più dei miei coetanei.

Anche i rami secchi bruciano
Prima o poi si riprenderanno.
Nell’attesa e nella speranza di un ribaltamento politico al Cremlino che riporti in auge il partito di Parigi-Berlino-Mosca e di una nuova conciliazione che non potrà aver luogo senza l’affermazione eroica nel campo ucraìno e senza che gli attuali delinquenti antifascisti russi non siano messi in condizione di non nuocere.
Di sicuro, anche se l’eroismo  prevarrà e se la macchina della strapotenza russa s’incepperà ancor di più, gli americani non consentiranno la vittoria ucraìna. Per cui è a tempi più lunghi che dobbiamo guardare, tempi in cui i fuochi, i focolai e le scintille che abbiamo elencato potranno partecipare a far nascere un bell’incendio. Chi si è lasciato fuorviare da un filorussismo dettato da non conoscenza del reale e da condizionamento da ghetto potrà trasformare il suo essere oggi un ramo secco nel suo ardere domani.

Portatori di fascismo
Un incendio che dovrà ardere un po’ ovunque in tutta Europa, accendendola di nuovo.
Perché di questo si tratta: di accompagnare il processo d’identificazione imperialista europeo con quanto viene da prima della decadenza ed è seme e frutto della lunga memoria.
Non è il neoimperialismo europeo, che è capitalista, ad essere in sé fascista o, come dicono i putinani, nazista. O forse, con la loro elementare bestialità, quegli esseri terrorizzati dalla luce e dalla forma hanno in fondo ragione. Perché non esiste nulla che sia europeo, che sia civile, che sia umanistico, che sia bello, che sia giusto, che sia selettivo, che non sia in fondo fascista o che non celi in sé inconsapevolmente il fascismo.
In fondo in fondo i nostri nemici russi di oggi hanno ragione: è proprio nella Ue. ma da rettificare, è proprio nella mentalità europea, che si trova il fascismo. Inteso non come un’ingessatura ma per quello che fu inteso dal suo ideatore, Mussolini, come forza transeunte ma profondamente radicata.

Abbiamo fatto e faremo
Seguendo per intero il fil rouge che ho descritto, ho l’orgoglio di dire che tutte le componenti che in qualche modo fanno a me capo hanno operato incessantemente in diverse nazioni europee con notevoli progressi sui terreni formativo, associativo e sinergico.
Siamo attrezzati, sia come Lanzichenecchi che in tutte le versioni metapolitiche, per andare molto oltre, anche a breve. Non vedo elementi che possano andare in controtendenza salvo – auguriamoci di no – una nuova potente epidemia dalla Cina.
Non di altro genere, perché abbiamo anticipato i tempi e stiamo dove dobbiamo stare e ci stiamo come dobbiamo esserci.

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