giovedì 18 Luglio 2024

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La Svezia compie una svolta ad u sull’immigrazione

Dopo anni di porte spalancate e tanto buonismo, anche la Svezia cambia registro. Dopo la vittoria nel settembre 2022 il governo del conservatore Ulf Kristersson, appoggiato esternamente dal molto destrorso partito Democratici di Svezia, ha deciso, come promesso ripetutamente durante la campagna elettorale, di invertire radicalmente le tradizionali politiche d’accoglienza.

Come cambia l’immigrazione in Svezia
Pochi giorni fa Maria Malmer Stenergard, ministro per le politiche migratorie, ha annunciato in Parlamento le nuove misure. In primis la quota annuale di permessi accordati ai rifugiati scende drasticamente da 6.400 a 900 e viene confermata, come già deciso dal precedente esecutivo, la cessazione dei ricongiungimenti.
Inoltre nuovi importanti fondi sono stati erogati alla polizia di frontiera, i confini (assai porosi sino ad oggi) verranno blindati e saranno intensificate le espulsioni dei clandestini dal regno. Un problema non da poco: oltre centomila persone vivono in clandestinità nelle periferie delle principali città svedesi, una massa di fantasmi da individuare fermare, schedare (con un prelievo del loro dna) e poi imbarcare sul primo aereo con un biglietto di sola andata.
Misure ormai inevitabili ma forse tardive. Grazie alle pessime politiche dei vari governi socialdemocratici la Svezia è stato il Paese più generoso (e miope) dell’Unione europea e oggi l’8 per cento della popolazione — complessivamente circa dieci milioni di abitanti — è di religione islamica. Un segmento che continua a crescere: entro il 2050 è previsto che i musulmani saranno il 30 per cento.

Il risultato delle politiche della sinistra
La Svezia metropolitana è ormai un far west e interi quartieri sono zone off limits, controllate dalle circa quaranta bande arabe, africane, afghane tutte dedite allo spaccio o ai traffici d’armi e di esseri umani. Una società parallela e illegale in cui violenza è la norma, un’abitudine, un mero dato quotidiano: nel 2021 la polizia ha registrato 335 sparatorie, 46 omicidi, 112 feriti e l’85 per cento degli arrestati sono d’origine straniera. Come commenta Linda Straff, responsabile dell’intelligence nazionale, i protagonisti “sono tutti cresciuti in Svezia e provengono da gruppi socio-economicamente deboli e molti sono immigrati di seconda e terza generazione”. Insomma, l’integrazione si è rivelata un fallimento pieno, un problema dai costi sociali enormi e foriero di rischi imprevedibili.
La goccia che ha fatto traboccare il classico vaso è caduta durante le passate feste natalizie. In poche settimane 63 sparatorie e numerosi attentati dinamitardi contro locali, cantieri, abitazioni private hanno terrorizzato la capitale. Per la stampa si è trattato di un imprevisto e sanguinoso inasprirsi della feroce guerra tra gang etniche per il controllo del narcotraffico. In prima linea una schiera di giovanissimi killer pronti ad uccidere per conto dei vari “padrini”. Una situazione serissima. Come ha confermato il capo della polizia Karin Gotblad: “Ci imbattiamo in ragazzi di 13 o 14 anni che si offrono di diventare assassini a contratto. Una faccenda terribile che ci trova purtroppo impreparati”.
Se le forze dell’ordine sono disorientate, il primo ministro Ulf Kristersson sembra non avere dubbi. Per lui i criminali debbono essere considerati alla stregua dei terroristi e combattuti come tali. “La criminalità non si fermerà”, ha detto il premier conservatore. “Questa gente deve essere rinchiusa in galera e messa in condizione di non nuocere. Al tempo stesso chi non è svedese deve essere espulso subito dal nostro Paese. Qui non c’è più posto”. Insomma, i danni vanno riparati prima che sia troppo tardi e la voragine si allarghi. A Stoccolma lo Stato ha iniziato una micidiale corsa contro il tempo.

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