giovedì 26 Dicembre 2024

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Scoperti i più antichi antenati del bue domestico, l’ uro (Bos primigenius).
Sono stati trovati nella valle dell’Indo e in Mesopotamia e risalgono a 10mila anni fa. La ricerca, condotta dal Trinity College di Dublino e dall’Università di Copenaghen, ha coinvolto il paleontologo dell’Università di Pisa Luca Pandolfi ed è stata pubblicata sulla rivista Nature. Pandolfi, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, studia l’evoluzione e l’estinzione dei grandi mammiferi continentali anche in relazione ai cambiamenti climatici.

Gli uri addomesticati erano animali abbastanza simili a quelli selvatici, ma un po’ più piccoli, con corna meno sviluppate a indicare una maggiore mansuetudine. Giulio Cesare nel De Bello Gallico (6-28) descrive infatti l’uro selvatico come un animale di dimensioni di poco inferiori all’elefante, veloce e di natura particolarmente aggressiva.

Dai resti fossili emerge che gli uri selvatici potevano raggiungere un’altezza di poco meno di due metri, una tonnellata di peso e avere corna lunghe più di un metro. La loro presenza ha dominato le faune dell’Eurasia e del Nord Africa a partire da circa 650.000 anni fa, per poi subire un forte declino dalla fine del Pleistocene, circa 11.000 anni fa, fino alla sua estinzione in età moderna. L’ultimo esemplare di cui si ha notizia fu abbattuto in Polonia nel 1627.
“Lo studio su Nature ha analizzato per la prima volta questa specie per comprenderne la storia evolutiva e genetica attraverso resti fossili rinvenuti in diversi di siti in Eurasia, Italia inclusa, e Nord Africa”, osserva Pandolfi. “Dai reperti, che includono scheletri completi e crani ben conservati, sono stati estratti campioni di Dna antico. La loro analisi- prosegue – ha permesso di individuare quattro popolazioni ancestrali distinte che hanno risposto in modo diverso ai cambiamenti climatici e all’interazione con l’uomo. Gli uri europei, in particolare, subirono una diminuzione drastica sia in termini di popolazione che di diversità genetica durante l’ultima era glaciale, circa 20.000 anni fa. La diminuzione delle temperature ridusse infatti il loro habitat spingendoli verso la Penisola Italiana e quella Iberica da cui successivamente ricolonizzarono l’intera Europa”.
“Nel Quaternario, epoca che va da 2 milioni e mezzo di anni fa sino ad oggi, l’uro è stato protagonista degli ecosistemi, contraendo ed espandendo il proprio habitat in relazione alle vicissitudine climatiche che hanno caratterizzato questo periodo – conclude Pandolfi – Le ossa di questi maestosi animali raccontano ai paleontologi la storia del successo, adattamento e declino, di una specie di cui noi stessi abbiamo concorso all’estinzione”.

Diffusi in Europa e Asia e scomparsi del tutto circa 500 anni fa, gli uri sono considerati i progenitori delle attuali mucche e tori ma ancora poco si conosce della loro storia evolutiva. Per ricostruirla i ricercatori hanno analizzato il genoma di 38 resti fossili provenienti da molti siti in un arco di tempo di 50mila anni e scoperto alcuni elementi interessanti, tra cui l’esistenza di tre popolazioni geneticamente distinte tra quelle che vivevano in Europa.
Cambiamenti climatici, come il periodo glaciale, ebbero un grande impatto non solo sulla loro distribuzione ma anche sulla variabilità genetica che, osservano gli autori, ha attraversato vari colli di bottiglia. Uno di questi si è verificato poco più di 10mila anni fa, al termine dell’ultima glaciazione, e proprio nello stesso periodo i primi uri sarebbero stati domesticati in Mesopotamia. I dati genetici indicano che gli attuali bovini si sarebbero originati da pochissimi uri, indice del fatto che la domesticazione sia avvenuta in modo volontario da parte di alcuni gruppi umani che avrebbero iniziato a selezionare alcuni specifici individui di Uro ritenuti più adatti e mansueti.

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