Il 2 aprile, venerdì santo, Marino Occhipinti uscirà per la prima volta dal carcere. Anche se per poche ore. L’ex poliziotto, detenuto dal 29 novembre 1994 con una condanna all’ergastolo per i crimini commessi con la banda della Uno bianca, lascerà la casa circondariale di Padova per partecipare alla Via crucis organizzata a Sarmeola di Rubano, nel Padovano, da Comunione e Liberazione presso l’Opera della provvidenza di Sant’Antonio. Uscirà grazie a un permesso premio, che, dati il giorno e l’occasione, appare carico di significato simbolico.
Durerà solo poche ore, dalle 13.30 alle 19, il permesso chiesto da Occhipinti anche per poter incontrare i suoi familiari in un ambiente diverso dal carcere. Il primo, forse, di una serie di permessi perché nel decreto del Tribunale di sorveglianza si sottolinea come per il detenuto sussistano “tutti i requisiti di legge per l’ammissione all’esperienza dei permessi premio”. Di certo c’è che, con questa prima concessione, la strada per uscire ogni tanto dal carcere grazie a piccoli benefici è meno in salita. E per i giudici e l’amministrazione penitenziaria, Occhipinti — 45 anni, ex poliziotto della Mobile di Bologna, membro minore della banda, condannato per l’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari durante l’assalto a un furgone davanti alla Coop di Casalecchio nel febbraio ’88 — dopo quasi 16 anni dietro le sbarre, è pronto per farlo.
Un convincimento, questo, destinato a suscitare polemiche e condanne da parte dell’associazione familiari delle vittime della banda dei Savi. Ma il magistrato Giovanni Maria Pavarin, lo stesso che nell’agosto 2008 lanciò un appello ai familiari perché accettassero il tentativo di Occhipinti di avere con loro un contatto, è convinto che l’ex killer, difeso dall’avvocato Milena Micele, abbia tutte le carte in regola per usufruire di permessi. E cioè: la dissociazione, la revisitazione critica, la buona condotta. Meriti documentati da perizie criminologiche. Pavarin scrive della “avvenuta rivisitazione critica delle condotte tenute in passato”, della “convinta adesione alle iniziative trattamentali” e del “desiderio di ottenere il perdono delle vittime dei suoi reati”. Il giudice si sofferma su come l’ex bandito “abbia superato ogni resistenza interiore e affrontato con spirito critico la sua storia personale, uscendo da qualsiasi logica di negazione del ruolo avuto nelle vicende di cui è stato protagonista negativo e riconsiderando con piena consapevolezza il proprio passato”. Atteggiamenti “non strumentali” perché Occhipinti “ha più volte manifestato sincero rammarico” anche durante i colloqui con lo stesso giudice. Questi è consapevole che il permesso non piacerà a tanti. Perciò dedica qualche riga del decreto anche all’associazione familiari: “A nessun approdo è giunto fin qui il tentativo di instaurare una qualche mediazione con le vittime, essendo risultato impossibile il tentativo di coinvolgerle, nonostante la volontà dell’interessato”. E quanto alle preoccupazioni dell’associazone, Pavarin non può che appellarsi al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Quello, spesso dimenticato, sulla finalità rieducativa della pena.