giovedì 26 Dicembre 2024

La distruzione – recensione

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Se la ripubblicazione de La distruzione è diventato un caso letterario, vuol dire che si tratta di un caso maledettamente strano.

Se caso è, poteva esserlo fin da subito, quando uscì negli anni ’70 per i tipi della, nientedimeno, Mondadori. Ma non successe nulla: qualche stiracchiatella recensione e vendite probabilmente di poco superiori ad una raccolta di poesie di Mandel’stam… Eppure, alcuni degli ingredienti per montarlo, il caso, c’erano già: in quegli anni di sovreccitazione ideologica, la figura del nazista disegnata da Virgili, del nichilista puro che spera nella distruzione totale dell’umanità per vendicare, in un colpo solo, il Terzo Reich e le sue personali frustrazioni, avrebbe dovuto (o potuto) farne un comodo bersaglio dell’intellighentia progressista e, dall’altra parte, poteva scapparci almeno un vivaddio l’avanguardia letteraria non finisce a sinistra dei Novissimi (per la verità, del libro si accorse Gianfranco de Turris: senza seguito). Dunque – come ho detto – non accadde proprio un bel niente. Tanto che la stessa Mondadori gli rifiutò il secondo romanzo Metodo di sopravvivenza, ancora editorialmente inevaso. Che oggi il caso monti più di quanto sia avvenuto alla prima edizione recherà poca consolazione a Dante Virgili, morto in solitudine e dimenticanza nel 1992.



Vero è che da qualunque parte lo si prenda, il libro era e resta scomodo per tutti: il significato del racconto è angosciante e clustrofobico e la sua tesi francamente incondivisibile; i comportamenti sessuali del protagonista, estremi a dir poco; il significante (cioè la tecnica di narrazione) fortemente sperimentale, ai limiti (ma al di qua del limite…) dell’astrazione: tra flussi di coscienza e di memoria; scambi mai del tutto dichiarati fra dimensione onirica e realtà; cronache giornalistiche riportate pari pari; masse verbali in tedesco; punteggiatura casual creativa… Eppure tutto lega, tiene: provate a dare al protagonista una linea revanchista magari appena appena più moderata o politically correct; alla sua attività sessuale, una pratica meno perversa o tradurlo secondo i canoni della Crusca: l’edificio crolla. O diventa inverosimile. Invece l’oggetto, a dispetto dei materiali sulfurei usati e di una tecnica di montaggio spericolata, è perfettamente attendibile. Se il valore di riconoscimento di un’opera letteraria è (anche…) nella perfetta corrispondenza della forma al proprio contenuto, La distruzione possiede questo valore. Certo, lo stomaco del lettore è messo sossopra e la sua intelligenza chiamata ripetutamente a sfidare ogni automatismo interpretativo. Ma l’architettura della narrazione è di una coerenza difficilmente contestabile.



Distruzione/autodistruzione e smodata (ancorché ripetutamente mancata) ricerca del piacere sessuale (diluite in ricorrenti ultradosaggi alcolici…) sono i due poli fra i quali l’Autore fa muovere il suo doppio letterario (ché, poi, alla fine di quello si tratta…). Eros e Thanatos, insomma. Sempiterni. Indissolubili. All’estremo. Il protagonista non si adatta a nessuna via di mezzo… Sconfitto in guerra, non sa vivere senza i miti della sua giovinezza e (si) auspica non l’alba utopica di un Quarto Reich

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