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Avanti Europa!

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Quegli interessi concreti che possono ridar corpo alla visione di Thiriart

Qualche avvenimento degli ultimi mesi, in ordine sparso:

Settembre 2019: Ursula con der Leyen dichiara: «Dovremmo essere fieri del nostro stile di vita europeo in tutte le sue forme e dimensioni e dovremmo costantemente preservarlo, proteggerlo e coltivarlo».

Novembre 2019: in un’intervista, Macron definisce la Nato come «cerebralmente morta» e avverte: «C’è un rischio concreto che a lungo termine scompariremo dal punto di vista geopolitico» e che «non saremo più padroni del nostro destino».

Febbraio 2020: alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Macron dice: «Abbiamo buisogno di una strategia europea che è quella di rivivere come potenza politica strategica. Vedo una Europa molto più sovrana, unita, democratica. Entro 10 anni, vedo una Europa che avrà costruito gli strumenti per erigere la propria sovranità tecnologica, di sicurezza e di difesa».

Aprile 2020: il Cercle de réflexion interarmées della difesa francese pubblica un documento in cui si interroga sul futuro della Nato e si chiede se convenga seguire l’America nelle sue strategie militari.

Maggio 2020: Angela Merkel fa sapere che non andrà di persona a Washington per partecipare al prossimo G7.

Giugno 2020: per «ritorsione» contro la Merkel, gli Usa richiamano dalla Germania 9.500 soldati americani, riducendo la loro presenza di quasi un terzo. Si stabilisce inoltre un tetto massimo di 25.000 uomini che possono essere stanziati nel territorio nazionale di Berlino. Ora il limite è di 52.000 soldati e quindi la riduzione complessiva supera il 50% del totale.

Giugno 2020: la Merkel sceglie come slogan della presidenza tedesca di turno dell’Unione europea «Make Europe Great Again».

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Insomma, che sta succedendo? Non è certamente la prima volta che ci sono tensioni tra gli Usa e l’Europa. Quando ci sono presidenti americani «brutti, sporchi e cattivi» capita spesso che l’Atlantico si faccia più largo, mentre quando alla Casa Bianca siedono paciocconi democratici, l’oceano si restringe. Era successo anche con George W. Bush e le sue guerre in Medio Oriente. All’epoca, tuttavia, le contromisure europee erano state contingenti. Quello di cui si sta parlando in questi mesi è qualcosa che va oltre Trump: mettere in discussione la Nato non è una sfida a una amministrazione, ma a una egemonia decennale.

Le perplessità sui protagonisti di questi accenni di rivolta diplomatica sono comprensibili: il pupillo francese dei Rotschild e la democristiana tedesca si sono forse riscoperti discepoli di Thiriart? No di certo. La storia, tuttavia, non segue necessariamente la spinta delle idee. In altri casi sono i fatti a trascinare gli uomini oltre i limiti delle proprie impostazioni ideologiche. È del resto da tempo che mi sono convinto a dedicare attenzione solo a ciò che si muove nel mondo delle élite, alle contraddizioni interne al potere piuttosto che a contropoteri immaginari e a rivolte di popolo fantasmatiche. Credo che i meccanismi più interessanti per il nostro futuro potranno avere avvio solo su quella scala, anche se poi non è lì che dovranno necessariamente essere portati a compimento.

Nietzsche diceva che «l’Europa si farà solo sull’orlo della tomba». E aveva anche preconizzato che l’unione europea si sarebbe fatta innanzitutto per necessità economica. Cha sia arrivata quell’ora? Difficile dirlo. Ma degli squarci si stanno aprendo. L’aria è gravida di tentazioni e tentativi.

Il linguaggio, del resto, non è mai innocente, anche se può esserlo chi lo utilizza. In politica esiste una grammatica arcana grazie alla quale le parole innescano cose che non erano necessariamente previste. E quindi, de quoi Europe est-il le nom? Nel linguaggio quotidiano, lo sappiamo, «Europa» sta a significare un quadrante di mondo che si vorrebbe liberato dalla storia e dall’identità. La cittadella della globalizzazione realizzata. Eppure… Eppure il nome «Europa» continua a non essere innocente. Soprattutto quando le si affiancano altri termini, come «potenza», come «grande»… È qualcosa che resta sulla punta della lingua, che aleggia nell’aria come una nube minacciosa per alcuni o come un raggio di sole per altri, ma di cui comunque tutti sentono la presenza.

Cosa manca, allora? Manca una visione. Non solo nel senso prosaico per cui diciamo che un imprenditore, un politico o anche un calciatore hanno visione, cioè sanno cosa fare per raggiungere un determinato obbiettivo, non campano alla giornata. No, manca una visione proprio nel senso in cui diciamo «Ma tu sei matto, hai le visioni». A metà anni Novanta, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk pronunciò una conferenza intitolata: Falls Europa erwacht. Gedanken zum Programm einer Weltmacht am Ende des Zeitalters ihrer politischen Absence (Se l’Europa si sveglia. Pensieri sul programma di una potenza mondiale alla fine dell’era della sua assenza politica). Lì Sloterdijk evocava una sorta di «sogno lucido», un profetismo europeo autoconsapevole. La capacità di essere visionari, appunto, ma in modo cosciente.

I cinesi, i russi, gli israeliani, gli americani, i fondamentalisti islamici hanno una loro visione, esplicita e implicita, e sono segretamente innervati dai loro profetismi atavici. E gli europei? Gli europei devono solo osare di dire il non detto che resta a mezz’aria e su cui permangono tuttora tabù brucianti e interdetti ancestrali. Il perimetro di ogni possibile azione politica sensata per l’avvenire si disegna attorno a queste coordinate. Sempre che si abbia una bussola per orientarvisi, ovviamente.

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